Il teatro del ricatto

by Editore | 5 Aprile 2011 6:19

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Come ha scritto Franco Cordero, ve lo immaginate un medico che sopprime il malato perché non è guarito nei tempi prestabiliti? Il nuovo che l’efficientissima “fabbrica del falso” nasconde è la strategia del ricatto che, ancor più intimidatorio e invasivo di ieri, Berlusconi inaugura in questa stagione per lui finale. Già  nel passato il Cavaliere ha giocato questa carta. Se non date il via a una seconda legge immunitaria, approvo il «processo breve» anche se centomila processi ne saranno distrutti. L’ebbe vinta, ma si è trovato con un pugno di mosche in mano quando la Corte costituzionale ha bocciato il salvacondotto. Ora, per coazione a ripetere, l’uomo che governa replica il ricatto facendolo però più brutale, addirittura sinistro per l’identità  del sistema fondato sessantatrè anni fa. Scorgiamone ragioni, condizioni, protagonisti. Il Cavaliere ha quattro processi aperti. Tre (Mills, Mediaset, Mediatrade) hanno il destino segnato dalla prescrizione. Quel che conta per il Cavaliere è soltanto il “processo Mills”, che potrebbe ottenere una sentenza di primo grado anche in pochi mesi. Già  definitiva la sentenza che ha condannato il testimone corrotto, svela nel gorgo di quale malaffare sia cresciuta la fortuna del corruttore. Altro che “uomo del fare”, vi appare per quello che è: uomo che sempre arruffa e imbroglia per imporsi. Basta ricordare che cosa gli succede quando varca le Alpi. E’ sempre battuto, se si parla di affari. Questo tableau, il Cavaliere deve eliminarlo, fosse anche in una sentenza di primo grado. Per questo occorre accorciare di un sesto la prescrizione come impone a un parlamento servile. Il “processo Mills” muore e salva la faccia, ma l’immunità  non è ancora a portata di mano perché un altro incubo tormenta il capo del governo: il processo per sfruttamento della prostituzione e concussione. Se il “processo Mills” dimostra quanto truffaldine siano state le sue peripezie imprenditoriali, il “dibattimento Ruby” (chiamiamolo così) mostra al di là  degli esiti quanto egli sia politicamente irresponsabile, pubblicamente inaffidabile, catastroficamente ricattabile. Una qualsiasi delle decine di prostitute, minori o maggiorenni, che lo hanno frequentato, può oggi metterlo sotto, estorcergli onori e denaro: anche una sola parola di una zambraccola può “condannarlo” se il processo va avanti perché il suo destino è sulla bocca di una puttana. Sono eccellenti ragioni per dover annichilire al più presto quel processo. Non si può fare affidamento sulla prescrizione e allora quel pericolosissimo sgorbio deve essere cancellato dalla sola istituzione affidabile per Berlusconi: il Parlamento abitato da nominati (da lui) e (da lui) comprati. Ecco allora il conflitto di attribuzione che approverà  oggi la Camera. Ma ancora non basta perché la controversia tra Parlamento e Procura di Milano sarà  decisa dalla Corte costituzionale. Per condizionare favorevolmente questo giudizio, Berlusconi e la sua corte di dignitari più o meno sapienti apparecchia un teatro del ricatto che nessuno sembra voler guardare. Vediamo che cosa ingombra la scena: una riforma costituzionale della magistratura; la responsabilità  civile delle toghe; l’introduzione del quorum dei 2/3 per le decisioni della Consulta che abrogano per incostituzionalità  una legge. Sono tre iniziative di difficile realizzazione. Nel primo caso, sono troppe quattro “letture” per una legislatura agli sgoccioli. Nel secondo, il balbettio legislativo è generico, irragionevole. Il terzo caso storpia un parametro capitale, trasformando la Consulta in un organo politico. Per i loro deficit costitutivi, non sono iniziative legislative, dunque, sono avvertimenti e intimidazioni gridati ai quattro canti per ottenere che la Corte costituzionale sottragga il “processo Ruby” ai giudici di Milano per affidarlo al Tribunale dei ministri che poi vuol dire alla decisione del Parlamento che, si sa, boccerebbe ogni autorizzazione a procedere. Le tre iniziative legislative, le tre imposture, le tre minacce – come definirle? – “parlano” ai decisori. Dicono ai magistrati: davvero per un processo, per un solo insignificante processo, volete modificare il vostro status, vivere e lavorare nel terrore, in un perenne conflitto con gli imputati che condannerete? Davvero, per quel processo, volete correre il rischio di perdere autonomia e indipendenza? La magistratura non è un monolite e, nelle vaste aree di quietismo istituzionale che la abitano o nei più ristretti luoghi di prossimità  politica al potere, questi richiami ottengono un loro risultato. E’ sufficiente avere orecchio per i mugugni che oggi si raccolgono, qui e là , contro «quelli lì, di Milano». E’ sufficiente cercare di capire dove, in quale stanza, da quale toga eccellentissima, nasca la convinzione (già  ha fatto capolino) che, in caso di conflitto di attribuzione, «con certezza» il “processo Ruby” sarà  sospeso (la giurisprudenza consiglia, al contrario, di andare avanti). Le minacce di Berlusconi “parlano” ai giudici costituzionali. Domani potrebbero non essere quel che sono oggi. Oggi sono i custodi di una sintassi giuridica: l’ordinamento è una piramide di norme situate ai vari livelli, in cima ci sono quelle che dettano la tavola genetica, protette dalla Consulta che vigila sulle sottostanti. Domani sarebbero i “funzionari” di una volontà  politica. L’avvertimento del Cavaliere “parla” al capo dello Stato. Con queste parole: sono in grado di accentuare le divisioni del Paese che tu ti sforzi di tenere unito. Posso con la riforma costituzionale della magistratura lacerarlo, lo posso sbrindellare anche nei tempi ridotti della legislatura, anche se poi il referendum confermativo dovesse bocciarla. Posso farlo o non farlo, dipende. A meno che… Per sapere quel che Berlusconi chiede a Napolitano è sufficiente leggere i fogli che sostengono il Cavaliere. Vi si legge: «Sollevare il conflitto di attribuzione e lavorare diplomaticamente affinché Giorgio Napolitano si impegni in una sorta di moral suasion sulla Consulta, chiamata ad esprimersi». Il busillis è tutto qui. Il rumore mediatico e il ricatto politico hanno un solo obiettivo: condizionare la decisione della Corte costituzionale e influenzare chi può dominare o suggestionare le scelte dei giudici costituzionali in nome del «male minore», come Berlusconi ritiene sia possibile nel suo analfabetismo democratico. Quanto sia fallace l’argomento del «male minore» bisognerà  prima o poi ricordarlo, Qui può essere adeguato ripetere qualche parola di Hannah Arendt: «Sul piano politico, la debolezza dell’argomento è stata sempre evidente: coloro che scelgono il male minore dimenticano troppo in fretta che stanno comunque scegliendo il male».

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