Il sondaggio che condanna l’atomo in tre anni crollo dei favorevoli
ROMA – Il perché dell’affannosa retromarcia del governo sul nucleare è spiegato con chiarezza in una tabella contenuta nell’ultimo sondaggio Ipsos. Italiani favorevoli alla costruzione di centrali nucleari: 17 per cento. Contrari: 78 per cento. Astenuti: 5 per cento. Un giudizio impietoso sulle scelte energetiche del governo che aveva deciso di utilizzare l’atomo per soddisfare il 25 per cento dei consumi elettrici del Paese. Tra gli elettori del Pd il no è salito al 90 per cento. Ma anche nel Pdl le cose non vanno meglio per i sostenitori dell’energia atomica: i contrari sono più del doppio dei favorevoli. Un trend che ha segnato un’impennata dopo Fukushima, ma che era iniziato appena si era capito che il governo intendeva veramente costruire centrali nucleari in Italia. Nel giugno 2008, quando del tema si parlava in maniera molto astratta, i favorevoli erano il 51 per cento. Nell’ottobre 2010 erano crollati al 29 per cento. E neppure il bombardamento di spot televisivi voluti da Palazzo Chigi per la campagna di “informazione” era servito a molto: i favorevoli restavano bloccati sulla soglia del 32 per cento. Adesso sono al 17: un numero difficilmente conciliabile con lo slogan del “rinascimento nucleare”. «Il Pdl ha deciso la fuga dal referendum per evitare l’emorragia di voti che ha penalizzato la destra tedesca, ma non ha avuto il coraggio di Angela Merkel», accusa Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd. «Ha azzerato senza una spiegazione il progetto industriale a cui, a parole, aveva affidato il futuro energetico del Paese. Una scelta da furbetti, per non perdere consensi alle amministrative e per cercare di limitare l’afflusso al referendum sul legittimo impedimento, cioè su Berlusconi. Ma per il governo i guai energetici non sono finiti». Proprio mentre le fonti fossili si dimostrano sempre più pericolose sia sul piano climatico che geopolitico, l’Esecutivo si trova di fonte un muro. La strada nucleare ha trovato il suo capolinea a Fukushima. E le rinnovabili sono state devitalizzate dal decreto Romani del 3 marzo che ha cancellato in maniera retroattiva gli impegni assunti ufficialmente dal governo italiano (suscitando la condanna delle banche estere e del commissario europeo all’Energia). «Domani è la giornata del Solar Day, che vede la protesta unitaria dei sindacati, degli imprenditori e del popolo delle rinnovabili», continua Realacci. «L’unica soluzione per l’Italia è seguire la via tedesca: regole certe e trasparenti per il rilancio dell’energia pulita».
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