Il pagamento posticipato
Non devono il temere secondo il ministro manovre correttive né per quest’anno né per il prossimo: in questo biennio si farà soltanto manutenzione contabile ordinaria. Lo sforzo vero sarà operato nel successivo biennio 2013/2014, al termine del quale si dovrebbe arrivare al tanto agognato pareggio di bilancio. Bene, la Banca d’Italia si astiene dal dare un proprio giudizio sulla singolare scelta tremontiana di rinviare nel tempo – addirittura alla prossima legislatura – il grosso dell’operazione di risanamento. Si astiene insomma dal dire quello che tutti pensano – ovvero che questo governo non farà niente di serio prima delle elezioni politiche – ma non rinuncia anche a fare i conti di questa perdita di tempo. E la fattura è di quelle che lasciano sbigottiti: se davvero si vuole concentrare fra il 2013 e il 2014 la manovra per raggiungere il pareggio di bilancio, questa non potrà essere inferiore ai 35 miliardi nel biennio. Circa 70mila miliardi delle vecchie lire, come ama tradurre Silvio Berlusconi quando vuole enfatizzare il valore di qualche suo provvedimento. Sarà che l’idea del governo è quella di acquistare tempo per non penalizzare con tagli più severi la fragilissima congiuntura che s’annuncia ancora per quest’anno e per il prossimo. Ma resta il fatto che anche una mazzata da 35 miliardi spostata un biennio più avanti non potrà che avere un effetto frenante moltiplicato sugli eventuali e sperabili germogli di maggiore crescita che dovessero manifestarsi di qui ad allora. In altre parole, indossando le vesti del medico pietoso, Giulio Tremonti rischia soltanto di rendere il quadro clinico ancora più grave. La ragion politico- elettorale del rinvio risulta così ancora più evidente e, al tempo stesso, miserevole. Tanto più alla luce del plumbeo quadro economico-sociale che il Bollettino di Via Nazionale traccia con una serie di cifre tutte drammatiche. A cominciare da quelle relative a una crescita che sì è positiva, ma pur sempre in termini di un decimale poco più o poco sotto il punto percentuale: la metà di quel due per cento che lo stesso governatore Draghi ha appena indicato come livello minimo per poter piegare davvero la corsa all’aumento del debito pubblico e, al tempo stesso, assorbire almeno in parte una disoccupazione sempre crescente. Accade, infatti, che nel biennio di vacanza immaginato dal ministro Tremonti il debito pubblico – e le cifre sono sue – salirà al 120 per cento del Pil nel 2011 per scendere appena di mezzo punto (un’inezia statistica) nel 2012. Quanto al nodo sociale del lavoro rispetto a un anno fa ci sono oggi 35mila disoccupati e 65mila inattivi in più, mentre altri 92mila italiani sono entrati nella classifica dei cosiddetti scoraggiati perché hanno ormai perso speranza di trovare e voglia di cercare un’occasione di impiego. Delle frustate berlusconiane all’economia costoro non hanno sentito neppure il fischio. Così come non se ne sono accorte le famiglie i cui consumi stentano e i cui debiti sono in lieve ma costante crescita avendo ormai raggiunto i due terzi del reddito disponibile. Un livello che rischia di sfilare sotto il naso al ministro Tremonti il principale argomento delle sue sortite in campo europeo quando invoca proprio il tesoro privato degli italiani come garanzia di sostenibilità del debito pubblico. Forse il ministro dell’Economia ha pensato che fosse un’astuta mossa politica quella di rinviare alla prossima legislatura il vero aggiustamento dei conti pubblici. La lettura del Bollettino di Bankitalia porta a ritenere che se proprio così dev’essere, la soluzione migliore sono a questo punto le elezioni anticipate.
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