Il nonno sovversivo dell’anti-Larsson
Una favola grottesca ed esilarante, l’odissea di un nonno sovversivo che ha attraversato le grandi tragedie del Novecento. Con Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (ora pubblicato da Bompiani, traduzione di Margherita Podestà Heir, pagg. 450, euro 18,50) la Svezia rivela un nuovo gusto per l’ironia, un umorismo paradossale che riecheggia i romanzi del finlandese Arto Paasilinna e molto diverso dalle atmosfere noir della letteratura scandinava degli ultimi anni. «Molti lettori italiani scopriranno finalmente che non tutti gli svedesi hanno pulsioni suicide» scherza Jonas Jonasson che con quest’opera prima ha sbancato: 800 mila copie vendute in patria, diritti di traduzione acquistati da venticinque paesi. Alla vigilia del suo centesimo compleanno, il protagonista Allan Karlsson scappa dall’ospizio, ritrovandosi per le mani una valigia piena di soldi abbandonata a una fermata dell’autobus. La sua fuga dalla polizia e da una gang criminale diventerà sempre più rocambolesca, svelando a poco a poco uno strano passato da esperto di esplosivi al fianco di statisti e dittatori. «È un personaggio affascinante e pericoloso al tempo stesso» spiega l’autore, a lungo giornalista nella televisione e nei giornali svedesi. Poco prima dei suoi cinquant’anni, anche Jonasson è “saltato dalla finestra”, mollando il lavoro, trasferendosi per qualche mese a Lugano – parla un buon italiano – e scommettendo su una nuova vita da scrittore. Tra incontri surreali ed equivoci in serie, Allan Karlsson sembra un personaggio improbabile. Un Forrest Gump svedese. «Allan non conosce quelli che gli altri chiamano “problemi”. È un uomo completamente privo di preoccupazioni. In un certo senso, è da invidiare. Ma può anche rivelarsi una persona pericolosa, trasformato in un perfetto idiota politico senza nessuno scrupolo. C’è da augurarsi che Allan non sia un personaggio come tanti, Dio ce ne scampi. Ogni sua vicenda, presa singolarmente, potrebbe essere realmente accaduta. È la somma di tutto ciò che ha vissuto che lo rende incredibile». La sua ironia spiazzante serve anche a ripercorrere gli orrori del Novecento? «Nella mia casa in Svezia ho un pollaio con sei galline e due galli. Stanno bene, li nutro con abbondanza, ma passano il tempo a bisticciare tra di loro. Non sanno assolutamente come comportarsi, non hanno il minimo senso di empatia. È questo che ci dovrebbe distinguere dagli animali, perlomeno da galli e galline. Ripercorrendo brevemente la storia del Novecento, ho voluto ricordare ai lettori quanto stupida e senza empatia possa essere l’umanità ». All’inizio del libro cita suo nonno, il quale sosteneva che “chi racconta la verità non merita di essere ascoltato”. «Ovviamente è solo una battuta. Mio nonno è morto molti anni fa. Era un fantastico story teller, raccontatore di storie, e aveva una formidabile fiducia in se stesso. Una volta mi disse: “Non è magnifico pensare che ogni cosa che ti dico diventerà un classico?”. Già pronunciando questa frase, aveva dimostrato di aver ragione». Come mai la Svezia ha accolto con così tanto entusiasmo questo romanzo comico? «Penso che gli svedesi hanno amato il mio libro perché è pieno di speranza, è una fuga dalla routine quotidiana lunga 400 pagine. Il lettore salta dalla finestra insieme ad Allan. Quando il romanzo ha incominciato ad avere successo nel mio paese, pensavo di aver scritto un’opera “troppo svedese” per il resto del mondo. E invece l’ironia, la speranza e la satira fanno parte dell’umanità ». Ha usato un umorismo simile a quello di Arto Paasilinna? «È stato uno dei miei modelli. Ma l’ispiratore di Allan Karlsson è prima di tutto Il buon soldato Svejk di Jaroslav Hasek e la domanda: che ci pone Svejk era solo uno stupido o una delle poche persone che hanno capito cosa stava accadendo durante la prima guerra mondiale? Nel mio romanzo ci sono anche dei riferimenti allo scrittore svedese Frans Gunnar Bengtsson. Ma la verità è che ho aspettato molto prima di pubblicare un libro. Avevo 47 anni quando finalmente l’ho scritto. È un romanzo che mi rispecchia al cento per cento. Se l’avessi scritto a 24 anni non sarebbe stato uguale». Scegliere un eroe centenario è anche un modo di raccontare l’invecchiamento delle nostre società ? «Il fatto che il protagonista sia centenario alimenta la speranza che attraversa tutto il romanzo. C’è una canzone svedese che dice: “Tutti vogliono andare in paradiso e nessuno vuole morire”. Ho ricevuto molte lettere di ringraziamento da parte di lettori anziani. Uno di loro mi ha detto: “Mi sentivo vecchio, ma dopo aver letto il tuo libro ho pensato che in fondo ho solo 89 anni. Ho ancora così tante cose da scoprire”».
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