Il decalogo della bellezza per far rinascere le città partendo dalle periferie
ROMA – È L’Aquila la città esemplare dalle cui tragedie si misura il tracollo dell’urbanistica in Italia. Muove dalle macerie di quel centro storico la riflessione di Italia Nostra che, a due anni dal terremoto, ha convocato il convegno «La città venduta. Vent’anni di urbanistica contrattata» (oggi dalle 9,30, Sala dei Dioscuri, via Piacenza 1). E «L’Aquila come caso emblematico» è il titolo della relazione di Pier Luigi Cervellati che dà avvio al convegno, dopo l’intervento di Alessandra Mottola Molfino, presidente dell’associazione. Ma dal cuore martoriato del capoluogo abruzzese il passaggio al resto d’Italia è breve e il panorama è quello di un’urbanistica sempre più piegata a interessi particolari e non alla qualità del vivere. Dalla riflessione alle proposte. Al convegno viene presentato un decalogo (vedi il box), redatto dallo stesso Cervellati, da Vezio De Lucia e Maria Pia Guermandi, che riassume i principi cui deve ispirarsi una corretta urbanistica. La città , si legge, non è una merce, è un bene comune, le sue trasformazioni devono essere definite dalle amministrazioni pubbliche e non affidate ai negoziati con i privati. Si proceda con il recupero delle periferie, si potenzi il trasporto pubblico e si facciano partecipare i cittadini e le associazioni alle scelte urbanistiche. Il convegno cade in un momento delicato per Italia Nostra. Nello scontro sul libro, poi ritirato, che raccoglieva articoli di Antonio Cederna sono emerse questioni attuali: quei saggi erano affiancati, per iniziativa di Italia Nostra lombarda, da interventi critici verso Cederna stesso, che, ha detto Giulio Cederna, «stravolgevano tutte le impostazioni più care a mio padre». E fra queste proprio la natura radicalmente pubblica dell’urbanistica. E questi principi Italia Nostra intende ribadire. A L’Aquila sta succedendo in forma estrema quel che accade altrove in Italia, dice Cervellati: un centro storico svuotato e una periferia che si ingrossa mangiando pezzi di campagna. Questo è il frutto, sostiene l’architetto, della libertà di cementificare, degli accordi fra amministratori e costruttori. Ma così si genera un circolo vizioso: «L’invenduto in Emilia Romagna dal 2008 è di 50 mila alloggi, una città per 120 mila persone, il doppio degli sfollati abruzzesi». La storia dei guasti prodotti dall’urbanistica contrattata è stilata da Edoardo Salzano, mentre Giovanni Losavio indica l’incostituzionalità di tante procedure. Ma poi si passa ai dossier sulle città , scelte in un ventaglio bipartisan. Giuseppe Boatti esamina Milano, dove il recente Piano di governo del territorio consolida una tradizione di deregulation in cui «i privati gestiscono tutto». L’espansione di Roma, «infinita, ma senza futuro», fissata dal piano regolatore voluto da Francesco Rutelli e Walter Veltroni, passa sotto la lente di Paolo Berdini. Torino, Catania e l’Emilia Romagna chiudono un quadro in cui la pianificazione urbanistica non è più, ricorda Salzano citando Cederna, «un’operazione di interesse collettivo che mira a impedire che il vantaggio dei pochi si trasformi in danno ai molti, in condizioni di vita faticosa e malsana».
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