Il Cavaliere e Giulio, la (fredda) coabitazione fra caratteri opposti
È partito l’attacco a Tremonti, e non c’è da stupirsi. Perché, pur essendo stato per quattro volte e otto anni il ministro dell’Economia di Berlusconi, Tremonti è talmente diverso da lui che in qualche modo potrebbe essere considerato un «aberlusconiano» , sul piano antropologico prima che politico. Berlusconi cerca sempre di piacere, Tremonti talora di spiacere. Uno è simpatico (o almeno si sforza di esserlo), l’altro è asciutto. Uno dice di sì a tutti, l’altro dice di no a quasi tutti (in particolare ai colleghi ministri). Uno spenderebbe e spanderebbe come la vecchia Dc che non a caso vinse undici elezioni di fila, l’altro rivaluta la politica della lesina di Quintino Sella. Uno è pragmatico, l’altro ama teorizzare. Uno è popolare, l’altro intellettuale. Uno apprezza le barzellette, l’altro le citazioni. Berlusconi pubblica libri ma nemmeno se ne accorge considerandoli inutili ai fini del consenso, Tremonti è l’unico politico della Seconda Repubblica ad aver scritto un best-seller. Berlusconi — come spiega un suo collaboratore storico— divide l’umanità in categorie, al cui vertice mette i fondatori (come lui), poi gli imprenditori, quindi gli specialisti, dai medici ai centravanti, dagli avvocati ai giardinieri. I professori sono una delle ultime categorie (l’ultima sono i magistrati). E Tremonti è un professore. Naturalmente i due hanno un rapporto antico (anche se nella battaglia epocale del ’ 94 Tremonti era con Segni). Si sono anche stimati. Ma quando Berlusconi ha manifestato la sua stima per Tremonti, l’ha fatto in un modo che non l’ha tanto lusingato: come quando mostrò ai visitatori di Villa Certosa un cactus particolarmente contorto, chiamato non a caso «Cervello di Tremonti» ; o quando ripete che «Giulio è un genio ma ha un cattivo carattere» , che è il modo migliore di irritare le persone di carattere. Ora nessuno dei due si fida più dell’altro. Agli attacchi del Giornale si è unito Panorama. E nessuno crede ai comunicati di smentita di Palazzo Chigi, alle proteste di innocenza del Cavaliere. Anche perché le loro strade si sono incrociate ormai troppe volte. Berlusconi mette su la cordata per evitare che Alitalia diventi francese, e Tremonti resta freddo. Tremonti mette su la cordata per evitare che diventi francese Parmalat, e Berlusconi non fa nulla per evitare l’opa di Lactalis, proprio nel giorno del vertice Roma Parigi. Berlusconi vuole chiudere Annozero. Tremonti va ad Annozero (trattato da Santoro non certo con malevolenza). Berlusconi dichiara che Bersani sa dire solo no. Tremonti riceve Bersani e discute con lui di politica economica. Berlusconi detesta Prodi e lo considera un alieno. Tremonti ha grande stima di Prodi. Berlusconi decide di rompere con Fini. Tremonti dice in un’intervista che le idee di Fini vanno ascoltate e discusse. Berlusconi blandisce i ministri e soprattutto le ministre. Tremonti minaccia di prendere Brunetta a calci, e alla Moratti che chiede soldi per l’istruzione risponde: «Letizia, lo Stato non è tuo marito» . Il rispetto formale finora non era mai mancato. «Ho giurato fedeltà alla Repubblica nel governo Berlusconi, e per me la fedeltà è un valore insieme morale e politico» ha detto Tremonti. E nel giorno del processo breve era in Parlamento a votare. Quando, prima ancora che scoppiasse il caso Ruby, un quotidiano gli attribuì una battuta perfida sul Duce abbattuto da Hitler e il Cavaliere da una minorenne marocchina, smentì subito. Ma, se finora non ha pronunciato parole critiche sullo scandalo, non ne ha neppure pronunciate a difesa. Il rapporto privilegiato di Tremonti con Bossi è stato a lungo discusso; e certo il ministro dell’Economia è stato accolto ai congressi della Lega come una star, e tiepidamente al congresso fondativo del Pdl. Ma oggi la causa della tensione al limite della rottura con Berlusconi è un’altra. Riguarda il futuro. E il rapporto con l’opposizione. Tremonti ha sempre sostenuto che Berlusconi non ha eredi. L’ha anche paragonato a Napoleone, cui non succedette un delfino ma un sistema (fondato sulla Restaurazione). In un primo tempo, il ministro pensava a un direttorio di notabili del Pdl. Ma ora sostiene che il Pdl è Berlusconi. Non si chiede più chi verrà dopo di lui, ma che cosa. E, per l’uomo che già nel 2006 parlò di grande coalizione, il nuovo assetto non potrà che essere un governo di larghe intese, dalla Lega al Pd, benedetto dalle istituzioni e dagli interlocutori internazionali (dall’Unione europea al Vaticano) con cui Tremonti in questi anni ha sempre coltivato rapporti. Il momento non è ancora arrivato. Ma Berlusconi e la sua macchina mediatica hanno cominciato a muoversi per evitare che arrivi mai. Ormai non è più la stima a tenere insieme il premier e il ministro, ma il bisogno che hanno l’uno dell’altro. Per ora.
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