Il caso Tremonti non è chiuso

by Editore | 23 Aprile 2011 6:06

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Ma le accuse di Galan a Tremonti di condizionare l’operato dei ministri, e di bloccare lo sviluppo del Paese, sono una lama a doppio taglio. Tremonti ha il merito, stringendo i cordoni della borsa, di aver salvato il Paese dalla speculazione internazionale sul debito pubblico e dal pericolo di bancarotta finanziaria. È anche verosimile che la stretta abbia finito col ridurre le capacità  di ripresa della nostra economia — mentre altri Paesi si sono già  rimessi in moto — di cui si è fatto interprete lo stesso mondo imprenditoriale. Interpretare, perciò, la cris i come un caso d i litigiosità  fra ministri sarebbe riduttivo. Mettiamo pure che la sortita di Galan rifletta il malumore di molti di loro, e dello stesso Berlusconi, per un rigore che, bloccando la spesa pubblica, ha ridotto la disponibilità  di risorse e la capacità  di iniziativa dei singoli ministeri. Non è un paradosso dire che, oggi, i ministri sono «senza portafoglio» ; che è, poi, la loro autonoma capacità  di spesa una volta ripartite le risorse disponibili. Ma il ministro dei Beni culturali — per usare una metafora ciclistica — non è «un uomo in fuga» che, prima o poi, il «gruppone» riassorbirà , procedendo compatto verso il traguardo. Galan, dicendo che Tremonti ha «commissariato» il Consiglio dei ministri, ha sollevato il problema, tutto politico, della capacità  di direzione del governo e, quindi, ancorché indirettamente, del presidente del Consiglio. Anche ammesso che la sua sortita sia stata, se non concordata, ispirata dagli umori di Berlusconi nei confronti di Tremonti — che egli percepisce come un suo possibile successore sostenuto dall’opposizione — è un fatto che essa non «azzoppa» un concorrente nella gara alla premiership, ma il capo del governo in carica. Viene, così, in primo piano — per usare l’antica espressione di Enrico Berlinguer per denunciare l’involuzione dell’Unione Sovietica — la crisi di quella «spinta propulsiva» del centrodestra che passa sotto il nome di «rivoluzione liberale» . L’interprete, e «propulsore» , di tale rivoluzione era stato Berlusconi che, nel 1994, aveva raccolto attorno a sé un certo numero di entusiasti intellettuali liberali. Non è, però, un caso che di quegli stessi intellettuali si siano perse le tracce e alcuni di loro non nascondano neppure il proprio scontento per l’involuzione conservatrice di Forza Italia, prima, e del Popolo della libertà , infine. Berlusconi ne ha attribuito la responsabilità , via via, a Casini, poi a Fini— che avrebbero boicottato le riforme — e, ora, sordamente, anche dopo il formale sostegno che è stato costretto a confermargli in questa circostanza, a Tremonti. Forse, dovrebbe chiedersi se il principale responsabile dello stallo non sia lui stesso. Per aver concentrato, ancorché per ragioni umanamente comprensibili, pressoché tutta la propria capacità  di iniziativa parlamentare sulla soluzione dei propri problemi giudiziari, invece che su quelli del Paese.

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