I sospetti del Cavaliere su Tremonti “È lui che sta aizzando Bossi”

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ROMA – Il sospetto lo porta nuovamente a Giulio Tremonti. Se è vero quello che circola con insistenza nel Pdl, il premier è a Tremonti che guarda come al regista di tutta “l’operazione Libia” messa in piedi dal Carroccio. Quello che sta «aizzando la Lega». Una manovra che «per ora non si capisce dove porta», ripete Berlusconi ai suoi, ma che potrebbe avere come conseguenza ultima la caduta del governo e la sostituzione del Cavaliere con un altro premier. Vista da palazzo Grazioli, la crisi in corso nella maggioranza sarebbe un tassello del piano messo a punto sull’asse Bossi-Tremonti per prendere progressivamente le distanze da Berlusconi. E, in caso, di sconfitta di Letizia Moratti alle elezioni di Milano, staccare la spina e dar vita a un nuovo governo prima dell’estate. Senza passare per nuove elezioni. Certo, Tremonti ripete sempre che mai si presterebbe a un’operazione del genere. E anche ieri, a chi gli chiedeva a bruciapelo se fosse arrabbiato, rispondeva sibillino: «Oggi no». È stato il giorno prima infatti, durante il vertice di villa Madama con Sarkozy, che il ministro dell’Economia ha misurato tutta la distanza che lo separa da Berlusconi. Con quella benedizione politica all’operazione Lactalis-Parmalat di cui Tremonti era all’oscuro. Anzi, a via XX Settembre è arrivata la voce che Berlusconi fosse stato messo a conoscenza dell’intenzione dei francesi di lanciare l’Opa già  da due giorni, senza tuttavia averne fatto parola con il suo ministro dell’Economia. Un sospetto rafforzato dall’ostilità  alle norme anti-scalate di Tremonti già  espressa nei giorni scorsi «dalle uniche due persone davvero vicine a Berlusconi: Fedele Confalonieri e il figlio Pier Silvio». Il risultato è stato efficacemente sintetizzato da Umberto Bossi sulla Padania: «Berlusconi ha fatto fare a Tremonti e Maroni la figura dei cioccolatai». Da qui l’ira del ministro dell’Economia. Una conflittualità , quella tra il premier e Tremonti, alimentata anche da altri dossier ancora caldi, come quello sul Decreto Sviluppo in cottura al ministero dell’Economia. Un provvedimento molto sponsorizzato dalla Lega (Calderoli lo ha anticipato a sorpresa sulla Padania), che tuttavia lascia freddo Berlusconi proprio perché, ancora una volta, si tratta di misure «a costo zero». La partita sulla Libia sarebbe dunque soltanto un pezzo del “great game” in corso nel centrodestra. Anche se niente affatto scontata nel suo esito. Ancora ieri sera Paolo Bonaiuti ammetteva con filo d’apprensione: «L’unica soluzione è in un incontro tra Bossi e Berlusconi. Se troveranno il modo di parlarsi faccia a faccia troveranno come sempre la quadra». Appunto, «se». Perché al momento Bossi non ha alcuna intenzione di facilitare la vita al premier, anzi ieri si è persino negato al telefono quando Berlusconi ha provato a rabbonirlo. A fare le spese della rabbia leghista per la mancata consultazione prima della svolta bellica è stato ieri Marco Reguzzoni, spintosi troppo in là  nella politica distensiva con il Pdl. Tanto da aver provocato la sollevazione dell’ala maroniana dei deputati, che ora ne chiedono la rimozione da capogruppo. A nulla è servito il vertice convocato ieri pomeriggio in tutta fretta a Montecitorio, che ha visto intorno al tavolo lo stesso Tremonti, Calderoli, Bonaiuti, Cicchitto e La Russa. Una riunione dalla quale Bonaiuti è uscito rinfrancato almeno sul ruolo di Tremonti: «Anche Giulio sta lavorando per trovare una via d’uscita con spirito collaborativo». Cicchitto, capogruppo del Pdl, ha poi visto Reguzzoni per provare a ragionare su un possibile testo condiviso da Pdl e Lega. Un tentativo senza successo. «Per fortuna – si consola Cicchitto – grazie a questa opposizione che ci ritroviamo, continuiamo a reggere. Malgrado tutto». A offrire una sponda al governo stavolta c’è anche Giorgio Napolitano, che non accetta spaccature in politica estera mentre le forze armate italiane sono impegnate in una difficile missione di combattimento. Due sere fa il capo dello Stato ha parlato con Bossi e oggi riceverà  Berlusconi e Letta, proprio per ascoltare dal premier come intenda far fronte alla crisi politica della maggioranza. In queste ore Berlusconi, trattenendo la rabbia per il calcio ricevuto dall’alleato, punta tutto sul rapporto personale con il capo del Carroccio: «Quando riuscirò a parlarci e potrò spiegare la mia posizione, Umberto capirà  la mia assoluta buonafede». Certo, Berlusconi rivendica anche il suo diritto di avere l’ultima parola sulle grandi scelte nazionali, perché «la politica estera si fa a palazzo Chigi e non a via Bellerio». Ma non è questo il momento di sbattere i pugni. «Quanto sta accadendo – confida La Russa prima di telefonare al segretario alla Difesa americano Gates – è anche un problema interno alla Lega, dove convivono correnti diverse. E Maroni ha dovuto alzare la voce per non sembrare da meno degli altri».


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