I resti dello tsunami minacciano la vita dell’oceano Pacifico

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MILANO – Tutto ciò che non è affondato in seguito alla spaventosa onda di tsunami che l’undici marzo scorso ha colpito le coste nord-orientali del Giappone, ora galleggia nelle acque dell’Oceano Pacifico. Automobili, camion, barche capovolte, persino alcune case intere (circa duecentomila) e tantissimi oggetti di plastica sono finiti in mare, risucchiati dalla forza terrificante dell’onda formatasi a seguito del sisma. E ora viaggiano verso la West Coast statunitense seminando preoccupazione riguardo all’impatto che avranno in termini di inquinamento e di minaccia alla vita marina.

PARTICOLARE RACCAPRICCIANTE – Secondo l’eminente oceanografo statunitense Curtis Ebbesmeyer è probabile che, confusi nell’enorme massa di detriti, raggiungano le coste americane anche parti del corpo delle migliaia di persone perite nel disastro naturale nipponico. In particolare Ebbesmeyer, che per anni ha studiato il movimento dei relitti marini, sottolinea come sia altamente probabile che a spiaggiarsi, oltre i detriti, siano anche i piedi dei cadaveri dispersi nell’oceano. Questo in ragione del fatto che mentre le altre parti del corpo verranno presumibilmente distrutte dalla permanenza in acqua, i piedi, ma solo quelli chiusi nelle scarpe da ginnastica, continueranno a galleggiare.

  PERICOLO PER LA NAVIGAZIONE – La Settima Flotta della Marina militare americana, che ha individuato l’enorme massa galleggiante, ritiene che i relitti rappresentino un serio problema per la navigazione: “E’ davvero difficile muoversi in mezzo a tutta quella roba – ha detto il sottotenente Vernon Dennis – e, considerando che le imbarcazioni si muovono grazie alle eliche, le reti da pesca e gli altri detriti rappresentano una chiara minaccia. Provare ad attraversare questi ostacoli non ha senso poiché causerebbe soltanto nuovi relitti, vale a dire i natanti danneggiati”.

UNO, DUE O TRE ANNI – A parere degli esperti i primi resti dello tsunami raggiungeranno la West Coast entro un anno, sospinti dalle correnti che vanno verso gli stati di Washington, dell’Oregon e della California. In seguito i detriti si indirizzeranno verso le Hawaii, per poi ritornare verso l’Asia impiegando sei anni, seguendo il Vortice sub-tropicale del Nord Pacifico (un sistema formato da quattro correnti oceaniche principali che occupa la maggior parte dell’Oceano Pacifico settentrionale). Le previsioni degli scienziati americani sostengono che i primi residui, come barche da pesca e tutto ciò che non assorbe acqua, raggiungeranno gli Usa entro un anno, mentre il legname e gli oggetti domestici navigheranno per due o tre anni prima di spiaggiarsi. “Alcuni oggetti si distruggeranno nel tragitto – ha dichiarato Luca Centurioni, ricercatore dello Scripps Institution of Oceanography della University of California di San Diego – molti mancheranno le nostre coste e proseguiranno verso il Golfo dell’Alaska. Tutti i detriti che non arriveranno qui, molto probabilmente finiranno nella Great Pacific Garbage Patch (lo sterminato accumulo di rifiuti formatosi a partire dagli anni Cinquanta che si stima occupi stabilmente tra lo 0.41 e il 5.6 per cento dell’intero Pacifico).

PERICOLO RADIOATTIVO – A seguito della fuoriuscita di materiale radioattivo dalle centrali di Fukushima, alcuni dei relitti potrebbero risultare contaminati, ma secondo James Hevezi, presidente dell’American College of Radiology Commission on Medical Physics, «il rischio è molto basso, poiché quando raggiungeranno le coste americane il grado di radioattività  degli oggetti dovrebbe essere insignificante».


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