I rappresentanti degli insorti a Roma

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ROMA – Nonostante la resistenza più o meno sotterranea di Silvio Berlusconi, il governo italiano continua la sua marcia d’avvicinamento verso i ribelli che in Libia combattono il colonnello Gheddafi. Ieri Franco Frattini ha annunciato che lunedì arriverà  a Roma il “ministro degli Esteri” del Consiglio nazionale di Bengasi, quel “governo provvisorio” che i ribelli si sono dati per provare a disegnare un futuro per la Libia mentre la battaglia sul terreno è ancora in corso. Frattini riceverà  alla Farnesina il responsabile per la politica estera del Consiglio, l’ambasciatore Ali al Isawi: il diplomatico rappresentava il regime di Gheddafi in India, ed era stato uno dei primi, assieme all’inviato all’Onu Abdulrrahman Shalgam, a denunciare le violenze del Colonnello, dimettendosi dal suo incarico e iniziando a sostenere con forza la causa dei ribelli. Al Isawi ha concordato la sua visita con il diplomatico italiano che da una quindicina di giorni ha aperto l'”antenna” della Farnesina a Bengasi e che ha già  fatto arrivare in Cirenaica i primi aiuti medici e umanitari della Cooperazione. «Rispetto alla velocità  con cui la Francia ha riconosciuto il Consiglio di Bengasi, noi siamo stati più cauti», dice una fonte del Ministero degli Esteri, «ma ormai da giorni lavoriamo ad una transizione che risparmi altro sangue alla Libia e soprattutto convinca Gheddafi ad andarsene». Per far questo i contatti con i ribelli sono stati raddoppiati, e soprattutto sono stati interrotti quelli con il regime. La conferma è arrivata ieri da Maurizio Massari, il portavoce del ministero degli Esteri: «L’Italia ha deciso di interrompere ogni contatto con il regime libico, adesso gli unici interlocutori politici sono gli esponenti del Consiglio nazionale di transizione a Bengasi», ha detto in un’intervista a Al Jazeera International: «Abbiamo voltato pagina, non vogliamo più avere a che fare con il governo di Gheddafi». Massari è uno dei diplomatici che in questi giorni, assieme al segretario generale Giampiero Massolo e al capo di gabinetto Pasquale Terracciano, hanno contribuito a elaborare la nuova politica italiana per la Libia. Ieri ha chiarito che «la speranza dell’Italia è che sempre più persone dell’entourage di Gheddafi lo abbandonino; così come speriamo che le istituzioni internazionali come l’Unione Africana e la Lega araba riescano a convincere Gheddafi a lasciare». Tra l’altro proprio ieri negli Stati Uniti l’ambasciatore Massolo ha avuto incontri al Dipartimento di Stato, al Pentagono e alla Casa Bianca, con dirigenti del National Security Council. Con la gestione militare della missione-Libia affidata alla Nato, la Farnesina prova a stringere un’agenda politica condivisa con gli Usa per gestire la fase dell’abbandono di Gheddafi e soprattutto per la creazione della “Nuova Libia”. «Noi al ministero degli Esteri e i nostri colleghi alla Difesa siamo molto preoccupati per il dopo», dice un ambasciatore a Roma: «Il problema principale non è il petrolio, quello siamo sicuri verrà  risolto. Il problema è il potenziale di destabilizzazione per tutto il Mediterraneo, per tutta l’Europa che potrebbe arrivare dalla Libia se la guerra durasse a lungo oppure se il dopo-Gheddafi fosse caotico più del previsto». In tutto questo il ruolo del presidente del Consiglio rimane defilato, marginale. Al giornalista di Al Jazeera che gli chiedeva notizie di Berlusconi, Massari ha risposto così: «Il ministro degli Esteri è sempre stato in prima linea, ha messo in chiaro fin da subito l’impegno dell’Italia e del governo italiano».


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