I professori sul nucleare non sempre l’imbroccano

by Editore | 4 Aprile 2011 6:20

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Così sul Corriere stimatissimi costituzionalisti, come Giovanni Sartori e Angelo Panebianco, hanno speso la loro vis polemica, una tantum all’unisono, per spiegarci che «non è possibile rinunciare all’atomo», poiché «quella nucleare, dopo petrolio e gas, resta la più importante fonte di energia». Non mancano poi gli avvisi sul costo crescente del petrolio e la possibilità  che esso ci venga negato dai paesi politicamente instabili (qualora questi decidessero di berselo?). Ci si richiama infine alla scelta virtuosa di paesi come gli Usa, la Francia e il Giappone, da noi respinta con un insano referendum. Da ultimo si arriva ad affermare che «le centrali nucleari siano di per sé pericolose, ma che non debbono essere costruite in zone sismiche … e la controprova è data proprio dal Giappone, la maggioranza delle cui centrali ha resistito benissimo». Sono tentato di delegare la risposta al buon senso dei lettori ma con la prospettiva del prossimo referendum credo utile arricchire i dati a disposizione. Prima di tutto, però, ho il sospetto che una questione centrale, qui ricordata più volte, venga rimossa dai fan dell’atomica. E, cioè, che questa è utilizzabile solo per produrre energia elettrica e quest’ultima rappresenta una quota minoritaria dell’energia consumata nel mondo in confronto all’energia termica e ai carburanti. Ragion per cui l’energia nucleare appare già  oggi tutt’altro che insostituibile (alla metà  degli anni Duemila ha toccato un massimo del 6% dell’offerta primaria di energia e del 17% di quella elettrica, per poi declinare lentamente). Se fossero adusi ad informarsi gli entusiasti del nucleo avrebbero potuto inoltre accorgersi che nel 2008 è stato riscoperto “un terzo idrocarburo”, dopo petrolio e metano, lo shale gas. Estratto dagli scisti, è in realtà  conosciuto dall’Ottocento ma finora pochissimo utilizzato per mancanza di una tecnica di estrazione adatta. Recenti ricerche tecnologiche, conclusesi con successo, consentono ora una utilizzazione massiccia. Le prime valutazioni dicono che lo shale gas, di cui gli Usa e il Canada sono i massimi produttori, è in grado di sostituire il metano anche per la produzione elettrica (il cui prezzo in America di conseguenza in un anno si è dimezzato) e coprire il fabbisogno industriale e familiare americano per i prossimi cinquant’anni. Quanto alla sbandierata sicurezza, salvo le zone sismiche, sarà  bene ricordare che solo nel 1999 a Tokaimura centinaia di lavoratori giapponesi finirono irradiati, alcuni morirono e 320.000 abitanti vennero evacuati, in seguito a un incidente nella lavorazione del combustibile della centrale. Infine, per sconsigliare la reintroduzione in Italia di centrali nucleari basta por mente alla densità  abitativa del nostro paese, alla fragilità  idrogeologica, alla diffusa vulnerabilità  sismica (quanti terremoti hanno lasciato il loro ricordo terribile, a volte dopo più di un secolo, da Casamicciola a Messina, da Avezzano al Friuli, dall’Irpinia all’Aquila!). Un altro pericolo riguarda la disponibilità  di enormi quantità  d’acqua per raffreddare il sistema. Ma se ieri i grandi fiumi erano minacciati dalle piene, oggi è la crescente siccità  che potrebbe ridurne la portata a livello di pericolo per una centrale. Lungo le coste del mare, invece, incombe il rischio opposto a medio/lungo termine del previsto innalzamento delle acque. Se il tempo di vita di una centrale è di 60 anni (senza rispondere all’inevaso quesito sul loro smantellamento), il materiale dismesso, che secondo le indicazioni del nostro governo vi sarebbe sepolto, resterebbe radioattivo per secoli. Un bel regalo per le generazioni a venire.

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