Gli scienziati americani ora fuggono in Europa

by Editore | 27 Aprile 2011 6:04

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In Svizzera invece si lavora a pieno ritmo accanto all’acceleratore attivo dal 2009 Gli esploratori della natura ora seguono la rotta inversa di Cristoforo Colombo. Lo studio dei segreti più intimi della materia attraverso i grandi acceleratori di particelle sta migrando dagli Stati Uniti all’Europa. E centinaia di fisici percorrono in questi mesi un sentiero inedito per la storia della scienza: dalla sponda ovest a quella est dell’Atlantico. Chiuderà  a fine anno per il mancato rinnovo dei fondi pubblici la storica macchina americana Tevatron, del laboratorio Fermilab di Chicago. Funziona invece a pieno ritmo, con ottimi risultati e un ottimismo alle stelle l’acceleratore Lhc del Cern di Ginevra. Da cui è appena trapelata la notizia di una possibile traccia del bosone di Higgs. L’unica fantomatica particella che mancherebbe ai fisici per completare il quadro dei componenti fondamentali della materia – e la cui caccia è oggetto di competizione fra Ginevra e Chicago – potrebbe aver lasciato una traccia in uno dei rivelatori di Lhc: Atlas. Si tratta di un’impronta poco chiara, la cui interpretazione è a livello molto embrionale. La portavoce di Atlas, l’italiana Fabiola Gianotti, ha smentito in maniera categorica di aver messo le mani sul bosone di Higgs (soprannominato la “particella di Dio” perché spiegherebbe come mai la materia attorno a noi è dotata di una massa). E il fatto che la notizia sia trapelata per vie poco ortodosse (in forma anonima attraverso un blog) ha creato malumori fra gli scienziati di Atlas. Ma nessuno a Ginevra si perita di dire che la scoperta del bosone di Higgs potrebbe arrivare entro l’anno. Il tramonto del laboratorio americano (Tevatron aveva effettuato le prime collisioni di particelle nel 1985) e la fioritura di quello europeo (l’attività  scientifica di Lhc è partita nel 2009) alimenta la migrazione dei fisici. «Da mesi è iniziato il trasferimento. Già  alcune centinaia di scienziati del Fermilab hanno ottenuto anche l’affiliazione a uno degli esperimenti del Cern. È chiaro infatti che Lhc sarà  la macchina del futuro» spiega Sergio Bertolucci, direttore della ricerca al Centro di Ginevra ed ex vice-presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare italiano. «L’amarezza c’è, non possiamo nasconderla» commenta da Chicago uno dei pionieri di Tevatron, Giorgio Bellettini, professore emerito all’università  di Pisa e scienziato dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. «Eravamo alle soglie di scoperte importanti, in procinto di poter dare indicazioni sul bosone di Higgs. Fermarci ora, a poca distanza dal traguardo, è molto triste. Sorprende che l’America decida di ammainare la bandiera in uno dei campi più prestigiosi della scienza, si tratta di una scelta inedita per questo paese. Se negli anni Venti e Trenta il cuore della fisica era infatti l’Europa, alla vigilia della guerra l’asse della ricerca si era spostato negli Stati Uniti». Non è un caso che il laboratorio di Chicago sia intitolato a Enrico Fermi. A Lhc d’altronde oggi c’è lavoro per tutti. «E la competizione non mancherà  neanche dopo la chiusura di Tevatron» spiega Paolo Giubellino, portavoce di Alice, un altro esperimento di Lhc. Alle collisioni fra protoni alla velocità  della luce che avvengono nel grande anello di 27 chilometri al confine franco-svizzero guardano infatti quattro immensi rivelatori (oltre ad Atlas e Alice, anche Cms e LHCb). «I dati raccolti da un esperimento – spiega Giubellino – vengono continuamente confrontati con gli altri, e questo dà  validità  ai nostri risultati». C’è poi il futuro lontano a cui guardare. «La fisica di oggi va avanti per grandi progetti ed è naturale che sia globalizzata» spiega Bertolucci. «Nessun paese da solo può sostenere sforzi come la costruzione e il mantenimento di Lhc, per non parlare dell’analisi dell’enorme mole di dati scientifici. Con le sue scoperte, l’acceleratore del Cern ci indicherà  la strada da seguire in futuro. A quel punto saranno forse gli Stati Uniti a realizzare l’apparecchio della prossima generazione. E noi fisici non ci faremo problemi a fare le valigie per l’ennesima volta».

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