Giustizia, l’altolà di Napolitano “Ignobili quei manifesti di Milano”
ROMA – Quante «pericolose esasperazioni» sulla giustizia, che «ignobile provocazione» su quei manifesti. Ha lasciato trascorrere solo poche ore, il capo dello Stato. Osservato con paziente e silenziosa preoccupazione l’escalation di un fine settimana da incubo, per gli equilibri istituzionali. I due comizi del premier Berlusconi contro la magistratura ormai «associazione a delinquere con finalità eversive», le immagini dei muri di Milano tappezzati da manifesti contro le «Br in procura». Lo start di una campagna elettorale che chissà dove potrebbe portare. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano mette per iscritto le sue valutazioni, una lettera al vicepresidente del Csm Michele Vietti resa pubblica per annunciare la decisione di dedicare la Giornata delle vittime del terrorismo e delle stragi, il 9 maggio al Quirinale, in particolare «ai dieci magistrati caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche». Ogni riferimento è tutt’altro che casuale. La scelta, spiega, «costituisce anche una risposta all’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta “Associazione dalla parte della democrazia”, per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo». Manca solo il nome e cognome di Roberto Lassini, aspirante consigliere della lista capitanata da Silvio Berlusconi (e per nulla intenzionato a farsi da parte). «Quel manifesto rappresenta una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non» sono ancora parole del capo dello Stato che di quei giudici ricorda i nomi, uno per uno: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione. Il Colle è stato scosso dal fragore degli ultimi fendenti del premier. Il patto scellerato pm-Fini, l’associazione a delinquere, l’eversione. La convinzione ormai maturata è che «nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni». Un monito che ha tutto il sapore dell’ultimo avvertimento. Solo l’ultimo di una serie, Napolitano ricorda il suo «costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti». Finora caduto nel vuoto. Che si tratti di un ultimo appello lo lascia intendere anche il destinatario della missiva. Secondo il numero due del Csm Vietti tutti farebbero bene a riflettere su questa «considerazione finale». La commissione di inchiesta proposta dal premier è «una provocazione» alla quale, sostiene, il Parlamento non dovrà dar seguito. Berlusconi, a suo dire, ha solo un’attenuante, «forse in questo momento non è sereno per le personali vicende processuali», ma non basta a giustificare. Quel che è certo è che la lettera allarga il solco tra Palazzo Chigi e il Quirinale, alla vigilia dell’approdo di nuove leggi ad personam. Lo si comprende dal tono delle reazioni berlusconiane. Il capogruppo Cicchitto conferma che c’è «un uso politico della giustizia», pur prendendo le distanze dai manifesti milanesi, il suo vice Osvaldo Napoli sostiene che l’invito «non può essere letto come unilateralmente indirizzato alla politica e al premier», ma anche ai magistrati che non devono interferire col Parlamento. Bossi e la Lega, come spesso in questi casi, si defilano in silenzio. Le opposizioni accolgono con soddisfazione le parole di Napolitano, sono «una lezione di civiltà » secondo i dipietristi, «sacrosante e precise perché siamo già dentro la degenerazione», dice il leader Pd Bersani. Condiviso l’allarme, per democratici, Idv e terzo polo l’unica via per superare il conflitto istituzionale resta il voto anticipato.
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