Elezioni in Perù. Preoccupazione in vista del ballottaggio
Prima di presentare i due candidati e il motivo di tanta preoccupazione da parte del premio Nobel, va subito chiarito come il risultato elettorale sia frutto solo ed esclusivamente del volere popolare, che ha esercitato il proprio diritto/dovere in piena democrazia, senza intoppi né incidenti, con un altissima partecipazione al voto, sia nelle zone urbane che in quelle rurali; i candidati usciti sconfitti, appartenenti al centro moderato dato per favoritissimo sino ad appena un mese fa, hanno accettato il responso, fatto i complimenti agli avversari e recitato il mea culpa, anziché giocare la carta della disperazione, tirando in ballo improbabili brogli, complotti e sotterfugi. Comportamento affatto scontato, se guardiamo in casa nostra.
Ciò detto, alla sconfitta del già citato centro moderato, ha corrisposto il passaggio al secondo turno dei due candidati che con democrazia e moderazione hanno meno a che fare. Lo insegna la storia più recente, che, se probabilmente ignorata dalla platea internazionale, è ancora ben impressa nella memoria collettiva peruviana.
Ollanta Humala, del partito ultranazionalista di sinistra Gana Perù, ha ottenuto al primo turno il 31,8% delle preferenze. Il suo passato da militare gli è valso l’appellativo di “el Comandante”. Prima di dedicarsi alla politica, è stato tenente-colonnello dell’esercito peruviano, periodo durante il quale non si è fatto mancare nulla: negli anni più cruenti della lotta al terrorismo (prima metà degli anni novanta) è stato accusato dell’appoggio in diversi omicidi e torture di cittadini civili innocenti; nell’Ottobre del 2000, assieme al fratello Antauro (attualmente in carcere) e ad un nutrito gruppo di soldati, si rese protagonista di un tentativo di colpo di stato ai danni dell’allora Presidente Alberto Fujimori, represso nel sangue presso la città andina di Andahuaylas. Ad ispirarne le gesta, il padre Isaac, fondatore della dottrina politica razzista autoritaria nota come etnocacerismo. Dottrina a cui el Comandante ha fatto più volte riferimento agli inizi della sua ascesa politica.
Alla notizia dei risultati elettorali che premiavano Humala, la borsa di Lima è crollata. Se il Pil peruviano sta registrando tassi di crescita record, il programma di Gana Perù (forte statalizzazione dell’economia, revisione dei trattati di libero commercio con Stati Uniti ed Europa, modifica della Costituzione repubblicana) rischia di invertire il trend positivo e scoraggiare gli investimenti stranieri. Humala ha indicato nel venezuelano Hugo Chavez il suo modello per un ridisegno delle politiche socio-economiche in Perù .
Keiko Fujimori, del partito conservatore Fuerza 2011, ha ottenuto il consenso del 23,5% dei peruviani. Giovanissima (appena 35 anni), non possiede grande esperienza politica, se si esclude il periodo in cui ha indossato i panni di First Lady, quale figlia dell’allora presidente Alberto Fujimori (divorziato dalla moglie).
Ecco, proprio il padre, uno dei personaggi più influenti e controversi degli ultimi 50 anni in Perù. Per tutti, amici e nemici, è “el Chino” (l’asiatico), per via delle sue origini nipponiche. Presidente democraticamente eletto nel 1990 (sconfiggendo proprio Mario Vargas Llosa), si rese protagonista di un autogolpe, sciogliendo il parlamento ed instaurando una dittatura autoritaria. Soppressione delle libertà democratiche, violenze, torture, omicidi e corruzione furono i metodi imposti dal nuovo regime. Autoesiliatosi in Giappone nel 2000, venne estradato (via Cile), processato e condannato per violazione dei diritti umani e corruzione. Attualmente in carcere, la sua figura non smette di dividere l’opinione pubblica: a chi ricorda i suoi metodi brutali, si contrappongono quanti (e sono tanti) non dimenticano che fu Fujimori ad imporre lo scacco matto ai terroristi del Sendero Luminoso, avviando il Paese verso la ripresa economica, dopo anni di declino.
A distanza di un decennio, non è certo corretto far ricadere sui figli le colpe dei padri ma il principio fatica a reggere quando la campagna elettorale di Fuerza 2011 viene dal primo giorno condotta nel nome e nel segno del Chino, esaltato come il miglior presidente della storia repubblicana e come modello da applicare per il futuro del Paese. Tanto che in molti danno per scontato come il primo provvedimento di Keiko, in caso di vittoria, sarà l’indulto a favore del padre e il suo successivo inserimento nella vita politica del nuovo governo. Chi auspicava che il fujimorismo fosse un capitolo chiuso della storia peruviana, dovrà aspettare ancora.
Presentati i candidati, resta da chiedersi cos’abbia spinto l’elettorato a tali scelte. Si è detto del periodo di crescita economica e progresso che sta vivendo da qualche anno il Perù. Il programma dei partiti moderati faceva perno su tale crescita, insistendo sul modello neoliberista che lo ha reso possibile. Eppure, a ben vedere, si tratta di un progresso di cui stanno godendo in pochi. È la vecchia storia della torta tagliata in poche parti. A Lima le fette più grandi, nelle campagne le briciole. Non è un caso come nella metropoli abbiano primeggiato i candidati di centro, mentre in provincia i partiti estremisti. Davide ha battuto Golia.
Secondo l’associazione senza fine di lucro Latinobarometro, il Perù è il paese dell’America Latina dove la popolazione ha meno fiducia nella propria classe politica. Quanti hanno scelto Ollanta Humala chiedono un cambio: maggiore considerazione per le zone rurali e una più ampia distribuzione della ricchezza. In Perù una parte della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà , senza acqua, cibo, istruzione, infrastrutture. Zone dove un piatto di riso oggi è più importante di investimenti e capitali stranieri domani.
Chi ha depositato nell’urna il nome di Keiko Fujimori vede nella fermezza e nel rigore l’unica arma per superare il lassismo della classe politica e contrastare il lavoro nero, il contrabbando, il narcotraffico e la criminalità che ancora semina il panico.
La necessità di stringere alleanze in vista del prossimo ballottaggio, sta spingendo i due candidati ad assumere negli ultimi giorni posizioni e toni più moderati. L’associazione per il rispetto della democraziaTransparencia chiede ad entrambi di non limitarsi ai proclami e sottoscrivere i nuovi impegni presi.
Il 45% dei peruviani, tra cui Vargas Llosa, non si fida e aspetta con preoccupazione l’esito del voto del 5 Giugno, temendo per l’ascesa di un nuovo caudillo. Associazioni come APRODEH vedono con favore una maggiore presa in considerazione degli strati più poveri della popolazione ed una più equa distribuzione del reddito, ma insistono come la democrazia, la tutela dei diritti umani, il rispetto della costituzione siano valori non negoziabili.
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