by Sergio Segio | 6 Aprile 2011 13:26
Un primo stop alla pesca selvaggia di questa specie ormai in estinzione. Con conseguente rivolta dei pescatori, scioperi e proteste. E pensare che fino a non molti anni fa ce n’era tale abbondanza che sulle coste canadesi si diceva che si poteva persino camminare sull’acqua. Cos’è successo allora? Più o meno quello che sta accadendo in tutto il pianeta: lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali da parte dell’industria. In questo caso quelle ittiche. Al punto che, secondo gli studiosi, nel 2048 non ci saranno più pesci,male acque del pianeta saranno popolate unicamente da alghe, con conseguenze catastrofiche sull’ecosistema.
A raccontarci tutto questo è Al capolinea. The end of the line dell’eco regista militante Rupert Murray, più che un documentario, un vero e proprio grido d’allarme sulla mattanza in corso da anni nei nostri mari, ma completamente ignorata dai media e dall’oponione pubblica. Quello che accade nelle profondità degli oceani, infatti, non desta grande interesse, poiché attualmente non si hanno ancora conseguenze dirette sul nostro quotidiano e i pesci sono sempre lì sui banchi del mercato.
Il film è in libreria per la collana Feltrinelli, Real cinema, che ha il merito da anni di «distribuire» il meglio dei documentari italiani e internazionali, abbinandoli, come in questo caso, a libri di approfondimento sul tema trattato. Al capolinea, presentato al Sundance del 2009, è ispirato al libro inchiesta Allarme pesce, del giornalista Charles Clover ed è un diario di bordo intorno al pianeta: dallo stretto di Gibilterra al Senegal, dall’Alaska a Tokyo per rendere conto di come la pesca globalizzata sia diventata, in realtà , una guerra senza confini agli abitanti del mare.
La tecnologia, infatti, è diventata un’arma inesorabile contro i pesci che vengono «cacciati» ad ogni latitudine da modernissime flotte. Non solo radar, sonar e computer, maaddirittura gli aerei che dall’alto scovano i branchi, come accade proprio nei nostri mari, a Lampedusa, nonostante i divieti di legge. È una pesca selvaggia (overfishing), senza tregua e senza confini. Ventiquattr’ore su ventiquattro che non lascia alcuna possibilità di riproduzione agli abitanti del mare. Le riserve marine non sono che lo 0.8% della superficie oceanica, cioè nulla. Tutto il resto è «territorio di conquista» per la pesca «legale» e «illegale» (ne parla «Ritorno a Tortuga», un intervento di Loretta Napoleoni all’interno del libro allegato il al dvd). Navi gigantesche,sempre più tecnologiche, sono in grado di pescare quantità industriali di pesce, tagliarlo, pulirlo e surgelarlo dirattamente a bordo. In questo campo il primato è tutto giapponese che in nome del piatto nazionale, il sushi, ha messo seriamente a rischio la sopravvivenza del tonno rosso e non solo. Anche in questo caso le mode alimentari hanno la meglio sulla salvaguardia ambientale, così che i ristoranti di lusso – come vediamo nel documentario – non si fanno alcuno scrupolo nell’offrire raffinati piatti a base di specie protette. È il mercato, bellezza. Ma, in realtà , si può fare molto per raddrizzare il tiro ed evitare la catastrofe ecologica, avvertono gli esperti. Così come stanno facendo l’Alaska e la Nuova Zelanda che hanno bandito la pesca a strascico e rispettano rigorosamente le quote- pesce che pure esistono, ma troppo spesso vengono ignorate. In questo senso anche Al capolinea è un contributo a questa battaglia contro la mattanza.
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