Debacle della cordata tricolore a Cdp solo un contentino del 10%

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MILANO – La cordata tricolore pronta a scendere in guerra per salvare Parmalat dai francesi rischia di alzare bandiera bianca prima di aver sparato un solo colpo. L’Opa da 3,3 miliardi di Lactalis ha spostato l’asticella a un livello (finanziario) inarrivabile persino per il Ghota del sistema bancario italiano e per l’arsenale in cassa alla Cdp. Il pressing del governo («Parmalat non andrà  ai francesi!», pontificava giusto un mese fa Umberto Bossi) è servito a poco: semplicemente – dicono fonti attendibili – non ci sarebbero i soldi per sfidare Parigi a colpi di rilanci in Borsa. L’ultima travagliata riunione alla vigilia di Pasqua tra IntesaSanpaolo, Unicredit, Mediobanca e la Cassa Depositi e prestiti – calcolati i mezzi a disposizione – era arrivata con fatica a ipotizzare un’Opa-bonsai da 1,5 miliardi sul 29,9% di Parmalat, una cifra lontana anni luce dai 5 necessari ora per conquistare Collecchio. La famiglia Besnier è stata più veloce e più coraggiosa e ora – bontà  sua – è pronta al bel gesto: l’offerta di una quota nella società  (si parla del 10%) al nascituro Fondo di investimento strategico salva-imprese voluto da Giulio Tremonti. Condita magari con un pacchetto di regole sulla governance che consenta al governo di salvare (almeno in apparenza) l’onore in Zona Cesarini. La sconfitta è bruciante anche perchè Roma ha provato a replicare il modello Alitalia mettendo in campo la sua formazione migliore. Prima Gianni Letta e Giulio Tremonti hanno lavorato ai fianchi Lactalis blindando con il milleproroghe il tesoretto di Parmalat (1,4 miliardi), varando in fretta e furia il decreto salva-imprese e schierando in campo la Cdp. Poi è scesa in campo IntesaSanPaolo, già  deus ex machina dell’operazione salva-Magliana, per mettere assieme una cordata tricolore pronta a scalare Collecchio, un’impresa in cui è stata affiancata – grazie alla moral suasion del Tesoro – da Mediobanca e Unicredit. L’Invencible Armada tricolore, pero, alla prova dei fatti, si è rivelata una sorta di armata Brancaleone. I Ferrero, l’asso nella manica “industriale” di Cà  de Sass, si sono sfilati subito dalla partita. Cdp ha bocciato l’ipotesi Granarolo. In campo sono rimaste solo banche e Cassa depositi. Ma alla resa dei conti, quando si è trattato di mettere i soldi sul tavolo per contrastare Lactalis, i soldi non sono arrivati: Cdp era pronta a mettere 500 milioni, Intesa 2-300, Unicredit e Mediobanca, tirate un po’ per la giacchetta, qualcosa come un centinaio a testa. Spiccioli rispetto alla montagna di quattrini cavati dal cilindro (grazie a finanziamenti bancari) dai Besnier. Che succederà  ora? Qualcuno spera ancora di ribaltare le sorti della partita con un Vietnam giuridico destinato a scoraggiare Parigi. Ma le aperture di ieri ai francesi di Silvio Berlusconi – in cuor suo forse contento della débacle di Tremonti – rendono improbabile questo scenario. Magari la Consob alzerà  un po’ di fuoco di sbarramento facendo leva sulla scarsa trasparenza dei conti Lactalis (che non deposita bilanci) mentre Enrico Bondi potrebbe mettere i bastoni tra le ruote azionando i meccanismi del concordato. Ma ben difficilmente questo basterà  a fermare Lactalis che dopo l’Opa – più o meno verso fine giugno – potrebbero alzare il tricolore (ma blu, bianco e rosso) su Collecchio grazie a un’operazione (va detto) trasparente e che alla fine premia tutti gli azionisti. Il paradosso è che una parte del conto finale per l’operazione che porterà  l’ex impero dei Tanzi in mani transalpine lo pagheranno anche gli italiani. I Besnier hanno stanziato in tutto per la scalata circa 4,5 miliardi. Quasi un miliardo e mezzo se lo ritroveranno in tasca grazie alla liquidità  raccolta con le cause a banche e revisori da Bondi (forse oggi un po’ pentito di non averla spesa in acquisizioni o girata ai soci). Qualche altro centinaio di milioni lo recupereranno riquotando la società  a Piazza Affari dopo l’offerta mentre un assegno (per il 10% della Parmalat potrebbero essere 4-500 milioni) lo incasseranno pure – quasi una beffa – dal Fondo salvaimprese destinato a salvaguardare l’italianità  delle aziende tricolori. Una mission, visti i risultati della partita di Collecchio, quasi impossible.


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