by Editore | 5 Aprile 2011 7:12
Altrimenti si prende qualche parlamentare di seconda fila, stavolta è toccato all’onorevole Franco Gidoni, ingegnere idraulico fin qui spesosi per il distacco del comune di Sappada dalla regione Veneto, come pure per aggiungere le parole «e Dolomiti» alla denominazione della provincia di Belluno, e gli si fa proporre qualche risonante castroneria, a partire dall’effetto che produrrà su giornali e tv. Va da sé che l’esercito regionale prospettato da Gidoni evoca la Yugoslavia. Ma il dubbio che qui si vorrebbe ragionevolmente insinuare è che senza il caos sull’immigrazione, senza la desolante prova di piagnucolosa inefficienza offerta in questi giorni dal ministro responsabile, e cioè dal leghista Maroni, senza la documentata fuga di massa dei «clandestini» e senza il loro conseguente e imminente arrivo nelle regioni del Nord – altro che «fà¶ra di ball!» – ecco, senza tutto questo l’ideaccia delle milizie regionali sarebbe rimasta a riposare nei cassetti, già stracolmi, dell’ufficio legislativo del gruppo parlamentare padano. Un conto infatti è predicare alzando la voce e alimentando aspettative, altro conto è governare. Quando queste attività entrano in palese e reciproco conflitto, gli addetti alla cabina di regia leghista accendono i fumogeni e quindi esagerano. Di norma le loro «provocazioni» non coinvolgono gli alleati del Pdl, che se le ritrovano all’improvviso sulle agenzie e perciò sempre più spesso sono costretti ad acrobatiche messe a punto. Ma a Lampedusa, nel caso specifico, il fallimento di Maroni è apparso così evidente, e per giunta sull’argomento preferito da Bossi, da meritarsi la messa in opera di una smargiassata strategica. Si aggiunga che qualche problemuccio interno, e non solo fra loro due, dentro la Lega ha tutta l’aria di esserci. Per cui benvenuti gli eserciti delle regioni. Nel recentissimo Dossier Lega, cospicuo volumone assemblato con diligente acume da Michele De Lucia per Kaos, di proposte diversive e al tempo stesso frastornanti, comunque ad alto impatto mediatico, se ne trovano a iosa, non di rado accompagnate da una pubblicistica apocalittica che contempla anonimi romanzi di fantapolitica sulla prossima dissoluzione dell’Italia. Ma intanto: bandiere e stendardi regionali da affiancare al tricolore; «Fratelli d’Italia» da ignorare o sbeffeggiare nelle cerimonie; gabbie salariali da proporre secondo logiche più o meno punitive nei confronti del Mezzogiorno; guardie nazionali padane da far fotografare nei raduni di Pontida con le loro belle camicie verdi made in China e la faccia seria di chi ha un alto compito da svolgere. E poi arriva la trovata dell’esame di dialetto e «cultura locale» cui sottoporre non solo gli extracomunitari, ma anche gli insegnanti e i presidi meridionali (che magari hanno reso meno scorrevole la carriera scolastica dei figli illustri); e ancora, a intermittenza, ecco benefici e corsie preferenziali da prevedere per gli alpini nati sopra il Po; e ovviamente anche il trasferimento di ministeri ed enti statali come la Consob al Nord; e pure un canale della Rai da spostare a Milano. E anche da qui si diparte la lamentosa frammentazione pop dell’identità nazionale, l’insidia stucchevole della secessione-show che si proietta sul festival di Sanremo, su improbabili e costose fiction storiche (dal Barbarossa al frate antislamico d’Aviano) sugli stemmi da apporre nelle magliette dei calciatori, sulla Nazionale che gioca male, compra le partite e comunque non sempre merita il tifo padano. E può sempre capitare che il ministro Bossi, per farsi bello davanti ai suoi, infili una pochette verde nel taschino della giacca del povero prefetto di Novara. Perché la Lega di governo, nel frattempo, s’è anche fatta un po’ arrogantella e il succoso e nutriente frutto del potere, auto, inchini, assunzioni, segreterie, telegiornali, Porta a porta, servizi festaioli sui rotocalchi, spettacolari roghi di leggi nelle caserme dei pompieri, e promesse, gratitudini, salamelecchi, insomma, questo frutto la tribù padana l’ha ben bene addentato; e se le milizie regionali servono principalmente a distrarre l’elettorato leghista dal capolavoro di Lampedusa e dai «clandestini» che scappati dai campi da domani si affacceranno nelle città del Nord, beh, non è detto che un domani, vai a sapere, il potere non si possa difendere anche con la forza, altro che il «tanko» dei Serenissimi, comunque esposto tempo fa davanti al municipio di Montichiari. Il giorno tragico e convulso dei barconi nell’isola dei disperati, sul benemerito Chi è comparso un servizio fotografico che ritraeva il figlio meno furbo di Bossi, Riccardo, pure su un’isola ma alle Maldive, con una bella ragazza vincitrice de La pupa e il secchione. E si vedeva lui immerso in un’acqua cristallina che ricordava Lampedusa, a braccia aperte, come in croce, e lei in bikini, scultorea, che gli schizzava a distanza dello champagne sulla faccia. E un po’ veniva da pensare all’intercambiabilità di certe crude espressioni come «Fà¶ra di ball!», e a quanto facilmente ci si perde in un mondo di simboli andati a male.
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