Da genio a fantasma, la parabola di Weiwei

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Pechino. Ai Weiwei il 3 aprile doveva imbarcarsi per Hong Kong. Ma l’architetto famoso nel mondo per aver progettato lo stadio a “Nido d’uccello” per le Olimpiadi di Pechino, e noto alle autorità  cinesi soprattutto come attivista, giunto all’aeroporto di Pechino è stato arrestato dalla polizia mentre, in contemporanea, il suo ufficio veniva perquisito, i suoi assistenti messi in stato di fermo, il suo noto collaboratore Wen Tao, arrestato, la moglie interrogata.
Da allora di Ai Weiwei non si sa più nulla, mentre la macchina della giustizia di Pechino provvede a cercare prove di una presunta frode fiscale collegata al suo studio a Shanghai e infangarne il nome per presunta diffusione di materiale pornografico, come ha scritto il quotidiano di Hong Kong Wen Wei Po, noto per le posizioni filo governative.
INSIEME ALLE AZIONI giudiziarie la Cina ha messo in piedi il consueto armamentario di censura: sparito il nome di Ai Weiwei, 53 anni, dai siti e microblog cinesi, nessuna notizia circa lo stato delle indagini neanche durante le consuete riunioni tra giornalisti stranieri e portavoce del governo. E per spezzare la cortina del silenzio ieri il cancelliere tedesco Angela Merkel si è mossa personalmente inviando una lettere al regime di Pechino. Per l’architetto sono arrivate manifestazioni di solidarietà  dal mondo dell’arte e anche il web cinese, nella sua costante lotta contro la censura, ha manifestato solidarietà  usando come sempre scappatoie, nascondendo il suo nome dietro ai caratteri Ai Weilai, che significano “amo il futuro”. Ai Weiwei è l’ultimo arresto di un nuovo, duro periodo di repressione in Cina, dalla non facile interpretazione in termini politici: in meno di due mesi sono centinaia gli intellettuali, attivisti, artisti, avvocati dei diritti umani messi in carcere, in stato di fermo, ai domiciliari, scomparsi . Un’attività  preventiva la cui traiettoria parte dall’assegnazione del premio Nobel a Liu Xiaobo, ma è proseguita con maggiore lena in occasione delle proteste “del gelsomino” in Cina. A inizio febbraio su un sito internet, boxun.com  , erano apparsi gli inviti a manifestare ogni domenica contro la corruzione e per riforme democratiche in trenta città  del Paese. I manifestanti si sarebbero dovuti radunare “armati” di un gelsomino, simbolo di continuità  con le rivolte del Mediterraneo. Ma la protesta è stata più virtuale che reale: poche le persone per strada, ingente lo schieramento delle forze dell’ordine in ogni città . Da quel momento è partita una violenta campagna di arresti, con accuse di sovversione a blogger o attivisti rei anche solo di avere twittato l’appello della protesta. Proprio alcuni giorni fa è arrivata la prima condanna per un 21enne arrestato in una delle domeniche: 2 anni di campo di lavoro.
Di fronte a una tale ondata di arresti, si registra una intraprendenza sempre più spinta da parte degli apparati di sicurezza locali, a testimonianza di come il passaggio politico previsto nel 2012, con il cambio di leadership, stia forse lasciando la politica cinese in un vuoto di potere nel quale sono già  partite le consuete schermaglie all’interno del Partito Comunista, per decidere i futuri assetti. Dopo le velate parole circa aperture e riforme del premier Wen Jiabao, questi ultimi arresti sembrerebbero confermare una resistenza del mondo politico cinese a cambiamenti, oppure costituire un’azione preventiva per tappare bocche critiche di fronte a un possibile problema economico dovuto all’inflazione galoppante. Di sicuro in questo momento nel Paese sembra mancare una voce rigorosa, come poteva essere quella di Deng Xiaoping o Jiang Zemin, in grado di imporsi sul resto del partito, indirizzando la politica cinese in una direzione ben precisa. L’impressione è che diverse forze stiano mettendo in campo la propria visione del futuro: a farne le spese la minoranza che da sempre spinge per riforme politiche e per maggiori diritti d’espressione. E che costituisce l’anima più critica della locomotiva cinese.


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