Corano bruciato, 20 morti per vendetta

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In migliaia avevano accolto l’invito a manifestare rivolto ai residenti già  giovedì da religiosi che avevano attraversato in auto la città  settentrionale muniti di megafoni e poi ribadito ieri mattina durante la consueta preghiera del venerdì. Al termine del sermone una folla compatta s’era messa in marcia dalla grande moschea blu del centro scandendo slogan contro gli Stati Uniti. La protesta si stava comunque svolgendo pacificamente finché un manipolo di manifestanti ha assaltato la sede dell’Unama (la missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan): Taliban mischiatisi alla folla nascondendo armi tra le vesti, secondo la ricostruzione del governatore della provincia del Balkh settentrionale Atta Mohammad Nour. Hanno aggredito le guardie dell’Unama con coltelli e, una volta strappate loro le armi, hanno aperto il fuoco per poi scavalcare il muro di cinta, abbattere una torretta di guardia e appiccare il fuoco all’interno dell’edificio. Nella sparatoria sarebbero morti almeno tre impiegati stranieri dell’Onu – un rumeno, un norvegese e uno svedese – sei guardie nepalesi e diversi manifestanti afgani. Due delle vittime straniere – un uomo e una donna – sarebbero poi state decapitate, mentre decine di persone sarebbero rimaste ferite. Illesa l’unica funzionaria italiana della missione: si trovava nel suo alloggio, dunque lontano dagli scontri, ha fatto sapere la Farnesina esprimendo «riprovazione» per il «doloroso tributo di sangue». Durante una conferenza stampa a Nairobi anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha condannato «l’attacco rivoltante e vigliacco», mentre il suo rappresentante speciale in Afghanistan Staffan De Mistura si è subito recato sul posto. Ferme condanne sono giunte anche dal presidente statunitense Barack Obama, dall’alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea Catherine Ashton e dal segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen. Come accadde dopo gli attentati del 2005 e del 2009, l’Onu ha già  diffuso l’ordine white city, “città  bianca”, che obbliga tutti i suoi dipendenti nel Paese a non lasciare gli alloggi. Ma se il bilancio delle vittime dovesse rivelarsi molto alto, si teme che l’organizzazione possa ridurre le sue operazioni nella zona di Mazar-i-Sharif che doveva essere una delle prime aree dove il controllo della sicurezza verrà  trasferito dalle forze internazionali al governo afgano.


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