Con il “nuovo Iri” torna lo Stato padrone

by Editore | 2 Aprile 2011 6:35

Loading

ROMA – Voglia di Iri. Voglia di capitalismo di Stato e di latte di Stato. Eccola la rivincita dell’anti-mercatismo firmata Giulio Tremonti, ministro dell’Economia. Il decreto anti-francese a protezione dell’italianità  di Parmalat è un tuffo nel passato. È lo Stato che torna a farsi padrone. Perché la nuova norma trasforma, estendendola, la stessa missione della Cassa depositi e prestiti (Cdp), società  per azioni controllata dal ministero dell’Economia (70%) e dalle Fondazioni bancarie (30%). Un adattamento italiano al francese Fonds strategique d’investiment. Non più solo investimenti nel settore delle infrastrutture (Terna con il 29,9%) e le utility (Eni con il 26,37%), ma partecipazione diretta in società  anche industriali purché «di rilevante interesse nazionale». Formula larga limitata da un altrettanto vago confine: la «strategicità  del settore di operatività , di livelli occupazionali, di entità  di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del paese». Si capisce che Cassa depositi potrà  acquisire partecipazioni solo in aziende di grandi dimensioni, ma per il resto sembrano non esserci altri vincoli. Tanto che ieri il presidente della Cdp, Franco Bassanini, ha detto che per investire in Parmalat bisognerà  comunque cambiare lo Statuto. Perché la Cassa non è nata con quello scopo. Una mutazione che lascia perplessa la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, intervistata dal Sole 24 Ore: «Se la Cdp entra in un’azienda industriale o in una banca si rischia magari di avere un piano di protezione ma non un piano industriale. Ciò che serve è la reciprocità  tra i paesi e la dimensione d’impresa, il resto lo fa il mercato». Più che il mercato – sostiene Carlo Scarpa, docente di economia all’Università  di Brescia – è la discrezionalità  delle scelte che si impone nel modello tremontiano. «È dirigismo, più che politica industriale. Oppure è un revival della politica industriale della Dc negli anni 50: entro nell’azienda che decido io e faccio quello che decido io. Personalmente sono allergico all’idea dei settori strategici. È una formula che non vuole dire nulla. Fu Lenin a inaugurarla nel suo primo piano quinquennale». Sulla carta il “nuovo Iri” potrebbe acquistare partecipazioni nelle grandi imprese industriali. D’altra parte Tremonti – talvolta anche in funzione anti Mario Draghi che all’epoca era il direttore del Tesoro – ha sempre criticato la stagione delle «patologiche» e «demenziali» privatizzazioni degli anni ‘90. Da tempo sostiene che servirebbero anche da noi i campioni nazionali, proprio come in Francia, per potere fare massa critica e muoversi sui mercati globali, comprando gli altri e difendendo se stessi. I campioni che c’erano, appunto, ai tempi dell’Iri. Ma in questo disegno c’è, tra le altre, un’incognita che riguarda il ruolo delle fondazioni bancarie, potenti e ricchissime (quasi 50 miliardi di patrimonio contabile). Le fondazioni possiedono il 30% della Cassa. Investono lì perché la Cdp ha – proprio come le fondazioni – una serie di vincoli che le vietano operazioni rischiose. Certo non sarebbe il caso della Parmalat che ha in pancia 1,4 miliardi, ma se il governo decidesse di salvare un’azienda decotta di grandi dimensioni operante in un settore strategico? Che farebbero, a quel punto, le fondazioni che già  storsero il naso quando Cdp acquistò per poi rivenderle al Tesoro il 13,77 % di STM? Tremonti ha nostalgia dell’Iri. «Ma almeno Beneduce – dice Giuseppe Berta, storico dell’industria alla Bocconi – aveva una visione dell’economia italiana e del rapporto tra banche e imprese. Quello di Tremonti, invece, è intervento pubblico senza politica industriale».

Post Views: 174

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/04/con-il-qnuovo-iriq-torna-lo-stato-padrone/