Clima, i non allineati

by Editore | 9 Aprile 2011 7:29

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E nel round thailandese il gruppo dei G77 più la Cina, ormai 131 paesi in via di sviluppo, ha chiesto che la regola del consenso guidi il cammino verso Durban (Sudafrica), dove il prossimo novembre si terrà  un’altra conferenza sul clima, di epocale importanza perché la prima fase del Protocollo di Kyoto è in scadenza. Quello di Bangkok è il primo dei tre round negoziali in vista di Durban. Ma non è questa l’unica mossa comune degli stati del Sud. I quali vista l’inerzia e i giochetti del Nord, ormai sembrano essere i più impegnati a ridurre le emissioni di gas serra entro il 2020, anche se sono meno responsabili (soprattutto storicamente) e anche se per ora non sono legalmente obbligati a farlo. La stessa Indonesia si è impegnata a un taglio del 26%¸anzi ha dichiarato che se riceverà  la dovuta assistenza finanziaria dai paesi industrializzati potrà  ridurre le emissioni di oltre il 40%, avviando uno sviluppo a basso carbonio. Il passo è molto significativo: il più popoloso paese islamico al mondo è al quinto posto per gas serra prodotti, dopo Cina, Usa, India e Brasile. Sul fronte Sud, fra le più decise all’autoriforma sono le Maldive che addirittura ripetono di voler diventare «carbon neutral» entro il 2020 (ovviamente non saranno computati i numerosi voli turistici). A Bangkok i G131 hanno fatto pressione sui paesi ricchi affinché si impegnino a tagli vincolanti e obbligatori nella seconda fase del Protocollo di Kyoto, a partire dal 2013. Ma se la Germania si avvia a ridurre le proprie emissioni del 40% entro il 2020 rispetto al 1990 e l’Unione Europea sembra mantenere l’obiettivo di meno 20-30% (però «mixando» vere riduzioni domestiche al ricorso al commercio internazionale dei crediti di carbonio), altri paesi sono decisamente indietro. L’Australia si impegna a un misero meno 5-15%, e non rispetto ai livelli del 1990 ma rispetto a quelli, più alti, del 2000… E gli Usa? Tendono a trincerarsi dietro il commercio del carbonio. Di questo passo, nel 2020 le riduzioni delle emissioni «sviluppate» arriveranno a un risicato 10-15% rispetto al 1990. Decisamente troppo poco, sotto il minimo necessario per non superare un aumento di due gradi della temperatura della superficie terrestre. Però questi due gradi sarebbero già  catastrofici, ha in più occasioni affermato il governo della Bolivia. Le sue richieste sono chiare e appoggiate da molti movimenti e associazioni di tutto il mondo. Primo, i paesi del Nord dovrebbero ridurre le emissioni di gas serra del 50% fra il 2013 e il 2017 rispetto ai livelli del 1990 e senza compensazioni (cioè si dovrebbe trattare di vero ridimensionamento domestico e non di acquisto di permessi di emissione); le riduzioni dovrebbero poi arrivare al 95% nell’anno 2050. Secondo: gli stessi paesi dovrebbero pagare almeno una parte del proprio storico debito ecologico e climatico accumulato nei secoli scorsi, destinando il 6% del proprio Pil a pagare i costi di mitigazione e adattamento anche nel Sud del mondo. Terzo: il mondo dovrebbe respingere le false soluzioni come il commercio del carbonio in favore di un vero nuovo modello di produzione e consumi. Chissà  se i G131 alla fine faranno blocco con la Bolivia…

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