by Sergio Segio | 27 Aprile 2011 15:32
I quattro leader Mapuche [1]che hanno ripreso lo sciopero della fame per protestare contro il governo e la legge antiterrorismo voluta da Augusto Pinochet – con cui vengono ingiustamente giudicate le azioni di rivendicazione indigene – stanno molto male. Ormai sono 42 giorni che non mangiano, un digiuno che si va a sommare all’altro durato ottanta giorni[2] e finito dietro false promesse e rassicurazioni governative nel dicembre scorso. Quella volta erano in 34 a portarlo avanti, tutti in carcere per reati legati alla rivendicazione della proprietà terriera. Adesso sono in quattro e assicurano che continueranno fino alla fine, senza cedere.
Si tratta di Héctor Llaitul, Ramà³n Llanquileo, José Huenuche e Jonathan Huillicall, condannati lo scorso febbraio a pene dai 20 ai 25 anni perché riconosciuti colpevoli di attentato all’autorità e rapina con intimidazione, per il loro presunto coinvolgimento nell’attacco contro il procuratore Mario Elgueta, accaduto nel 2008. Una sentenza pronunciata in base all’odiata legge, in barba alle promesse fatte da La Moneda, per convincerli a smetterla con il primo sciopero. Da qui la rabbia e la frustrazione e la decisione di riprenderlo, costi quel che costi. E adesso, nonostante siano tutti molto dimagriti e presentino vari sintomi di indebolimento generale, cefalea, nausea e pressione bassa, ribadiscono: “Non molleremo”. Una determinazione che viene dalla delusione scaturita da promesse vane[3], quali quelle ricevute a dicembre dal presidente della Repubblica, Sebastian Pinera, che pur di evitare che le condizioni dei 34 prigionieri Mapuche in sciopero della fame peggiorassero ulteriormente, promise che avrebbe fatto in modo che non sarebbero mai più stati giudicati in base alla Ley di Pinochet, che oramai viene riservata soltanto in caso di reati Mapuche. Parole vane: la legge resta viva e vegeta e pronta a punire i fastidiosi indigeni.
Eppure, persino le Nazioni Unite l’hanno criticata, precisando a chiare lettere che discrimina le comunità indigene. Ma ancora nulla. Resiste, intatta. E quel venticinque percento dei cileni che sono i mapuche continuano a essere bistrattati e considerati cittadini di serie B, da tenere a bada affinché non recuperino le loro terre ancestrali, tutte concentrate nell’Araucanàa, a circa seicento chilometri a sud di Santiago.
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