Chirurghi sotto accusa con sentenza inventata

by Editore | 18 Aprile 2011 6:20

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La riporto in parte: «La città  di Samaria è sotto assedio e gli abitanti muoiono di fame. Fuori dalla città  quattro lebbrosi condividono la stessa sorte. L’unica alternativa è andare dal nemico a chiedere del cibo. Ma le possibilità  di essere sfamati sono minime rispetto a quelle di essere uccisi come nemici. Che fare? Alla fine i lebbrosi decidono di andare … È sulla scelta compiuta dai lebbrosi che il Talmud basa il principio per il quale è lecito mettere in gioco la certezza di una vita molto breve nel tentativo di poterla allungare in qualche modo, anche se questo modo comporta un rischio micidiale. Una delle applicazioni più comuni di questo principio è la scelta di un intervento chirurgico in pazienti in condizioni disperate. Nella discussione rabbinica le opinioni divergono… Per una strana coincidenza la lettura dell’haftarà  dello scorso sabato (brano scelto per la lettura fra i testi dei profeti, ndr) ha coinciso con una sentenza della Corte di Cassazione che avrebbe stabilito che quando non ci sono speranze di guarigione il medico si deve fermare. La sentenza ha già  sollevato notevoli perplessità ; sarà  certo interessante studiarla anche alla luce degli sviluppi della halakhà  (l’assieme delle regole della vita ebraica, ndr)». La seconda citazione è tratta dall’editoriale del Corriere Medico, a firma del presidente dell’Ordine dei medici di Roma. Mario Falconi e tocca lo stesso evento con un orientamento che si evince fin dal titolo: «Suggerisco un’Authority contro i media che manipolano la realtà … Persino una recente sentenza della Cassazione è stata stravolta con palese alterazione della verità ». Come, del resto, sostiene la terza citazione, un comunicato a firma di Giovanni Hermanin, già  assessore della piunta Veltroni ed oggi responsabile Sanità  dell’Api (Alleanza per l’Italia), secondo cui «non esiste nessuna sentenza della Cassazione che affermi quanto riportato su tutti i giornali in merito agli interventi chirurgici su pazienti in condizioni estreme». Il comunicato si riferisce, appunto, alla notizia riportata con grande rilievo, su una condanna, sancita dalla Cassazione, nei confronti di tre chirurghi (il prof. Huscher e i sui collaboratori, i dott. Mereu e Napolitano) i quali avrebbero operato, suffragati dal consenso informato della paziente e dei familiari, una giovane donna, con due figli, al fine di prolungarne almeno per qualche tempo la vita. Il tentativo però fallì, ma la famiglia, consapevole del suo impegno, si guardò bene dal denunciare gli operatori. Questi furono egualmente condannati e ricorsero fino alla Cassazione per rivendicare la giustezza del loro operato. Sulla base però di una interpretazione erronea diffusa dalle agenzie, la notizia venne data come se la Suprema Corte avesse condannato i chirurghi e stabilito «in modo perentorio il principio secondo cui gli interventi chirurgici senza speranza (chi può definirli in anticipo? ndr) non devono essere tentati anche se esiste il consenso informato del paziente». Per capirne di più ho letto integralmente la sentenza la quale, in buona sostanza, non ha condannato nessuno né emesso alcun principio, ma, preso atto del decorso del termine di prescrizione, si è limitata a dichiarare estinto il reato, rifiutando di entrare nel merito. Resta da chiedersi perché sia stata fatta circolare una versione così ingannevole. Si tratta forse di uno dei tanti risvolti della medicina preventiva che divide molti medici tra chi rischia e chi si arresta di fronte a scelte che possono portarli in tribunale. Basti dire che tra il 2005 e il 2010 le cause per responsabilità  medica sono aumentate del 15%. La chirurgia, fra tutte, sta diventando una professione sempre più pericolosa per chi la pratica secondo coscienza.

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