Chernobyl, l’incubo non è finito

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Per la comunità  scientifica, non vi è alcun dubbio sul legame tra questo disastro nucleare e l’inversione delle curve di crescita nelle regioni direttamente interessate dalla esposizione alla radioattività . Soprattutto in Bielorussia, dove c’è un forte declino demografico: nel 2005 ad esempio si è raggiunto un tasso di crescita negativo del – 5,9%. Mentre il tasso di natalità  precipita, i dati sulla mortalità  raggiungono valori allarmanti soprattutto a causa di malattie cardiovascolari e tumori, il cui numero cresce ogni anno. Chernobyl ha aggravato lo stato di salute di persone disturbate nel metabolismo e dal genoma indebolito perché contaminate da quasi venti anni con radionuclidi, in particolare Cs-137. I governi della ex Urss, la Bielorussia, l’Ucraina e la Russia, non hanno saputo gestire gli enormi problemi creati dall’incidente di Chernobyl. Una delle cause principali di questo fallimento è la mancanza di informazioni oggettive sugli effetti degli agenti radioattivi sulla salute umana. Per anni, gli studi scientifici che evidenziano il ruolo di radioattività  nella comparsa di malattie invalidanti e potenzialmente fatali erano impossibili da ottenere, a causa del blocco delle autorità  locali ma anche della connivenza delle organizzazioni internazionali. La censura delle informazioni si spiega anche con la collusione tra la lobby nucleare e in particolare il regime autocratico della Repubblica di Bielorussia. Questo ha un impatto diretto sulla salute pubblica nella misura in cui gli effetti delle radiazioni individuali e collettive vengono ignorate. Pertanto, nei territori colpiti da Chernobyl, la popolazione continua a soffrire gli effetti della radioattività , soprattutto per l’ingestione di Cs-137. Proprio per questo, a 25 anni dalla catastrofe di Chernobyl, vogliamo oggi rendere omaggio al lavoro e all’esperienza del coordinamento “Ecologia e Salute” a Kiev, diretta dal rettore dell’Università  di Gomel, Professor Yuri Bandajevsky, oppositore convinto del regime di Lukashenko. Finora, il “clean-up” di Chernobyl è costato 1,5 miliardi di euro e il costo complessivo dell’incidente è valutato nel complesso a varie centinaia di miliardi di euro. Per anni, gli aiuti internazionali si sono focalizzati sulla sicurezza del sito e il sarcofago di Chernobyl. Il 19 aprile, peraltro, la Commissione europea si è impegnata a fornire ben 110 milioni di euro in più dei 750 necessari alla costruzione di un nuovo sarcofago. Ma è necessario dedicare risorse anche a progetti di salute pubblica, completamente trascurata dalle autorità  locali ed internazionali. E questo ci riporta a Fukushima: a 25 anni da Chernobyl e nel momento in cui la centrale giapponese continua a sversare radionuclidi nella biosfera, sono indispensabili e urgenti misure per la protezione delle persone e dei loro territori. Nessun sistema di protezione contro le radiazioni è efficace nel prevenire gravi malattie senza azioni politiche concrete o la diffusione di informazioni corrette. Perfino in un paese democratico come il Giappone, la difficoltà  di ottenere e diffondere un’informazione completa è emersa chiaramente. Alle conseguenze tragiche di incidenti come Chernobyl e Fukushima, si aggiungono naturalmente le questioni irrisolte dei rifiuti radioattivi e dello smantellamento, che perfino in Italia continuano a drenare ingenti risorse pubbliche (tra i 4 e i 5 miliardi di euro totali per lo smantellamento delle vecchie centrali dal 1987, 285 milioni di euro nelle bollette del 2010). E in Europa, i fondi a disposizione della tecnologia e ricerca nucleari sono circa 5 volte superiori a quelli dedicati alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica. In conclusione, la tecnologia nucleare e le conseguenze della radioattività  sono una minaccia reale per il mondo. Se ci si ferma a riflettere, ci si rende conto di come il nucleare civile ci esponga a rischi enormi; e sempre più persone lo capiscono, perfino in Francia, ai cui confini secondo la propaganda ufficiale la nube di Chernobyl si era miracolosamente fermata. Per questo, appare come particolarmente cinico il governo italiano che continua a parlare apertamente di “emotività  irrazionale” e gioca con lo strumento democratico del referendum per evitare che gli italiani si pronuncino ancora una volta nettamente contro questa tecnologia di morte. Eppure, l’uscita dal nucleare appare oggi come una prospettiva non solo necessaria, ma possibile e realistica. Le tecnologie che ci permetterebbero di eliminare progressivamente il nucleare e di rispettare i nostri impegni di riduzione delle emissioni per limitare il riscaldamento del pianeta esistono e con adeguati investimenti possono farci uscire dalla dipendenza dei combustibili fossili. Ma questo sarà  possibile solo sapremo imporre – scienziati, politici, società  civile, media – un dibattito di verità  e di qualità  e se la democrazia energetica e la trasparenza avranno la meglio sulla propaganda di regime. (gli autori sono, rispettivamente, presidente del gruppo Verde al Parlamento europeo e presidente del Partito Verde europeo)


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