by Editore | 29 Aprile 2011 10:36
BRUXELLES — L’Italia non può, non deve, mettere in prigione uno straniero perché è entrato clandestinamente nel suo territorio e non ha obbedito a un ordine di espulsione; quell’arresto contrasta con le normative europee, è fuori dal diritto. In altre parole: la clandestinità non è di per sé un reato penale, come invece stabilito pochi mesi fa dai nostri legislatori. Tutto questo lo dice dal Lussemburgo la Corte di giustizia della Ue, con una sentenza che in via di principio restituisce la libertà ad Hassen El Dridi, alias Soufi Karim, algerino espulso dall’Italia nel 2004 e condannato nel 2010 a un anno di reclusione dopo aver ignorato un secondo ordine di espulsione, entro 5 giorni. Dalla sua cella di Trento, l’uomo aveva presentato ricorso, e la Corte d’appello locale si è poi rivolta alla Corte Ue per aver lumi. La risposta è arrivata in due mesi, con una procedura d’urgenza adottata proprio perché El Dridi si trovava in galera. Ma la casistica su cui si riverbera ora la sentenza è naturalmente molto più generale, e così il suo risvolto politico. Come si intuisce anche dal diluvio delle reazioni italiane: insoddisfatto il ministro degli Interni Roberto Maroni con buona parte del centrodestra, che parla di ingiusta decisione dell’Europa; favorevoli il Vaticano e buona parte del centrosinistra. La motivazione della sentenza è scarna, ma chiara: punire la clandestinità come un reato è qualcosa che contrasta con la direttiva Ue sui rimpatri. Cioè con una normativa sottoscritta a suo tempo dagli Stati membri, che prevede sì l’espulsione dei clandestini ma attraverso «una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali» . La prigione «può compromettere» questa politica, e perciò il giudice italiano «dovrà disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da 1 a 4 anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» . I giudici precisano poi: «Solo qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato, lo Stato membro può procedere al suo trattenimento. Conformemente alla direttiva rimpatri il trattenimento deve avere durata quanto più breve possibile ed essere riesaminato ad intervalli ragionevoli… Inoltre gli interessati devono essere collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune» . Vale a dire: non in carcere. Ecco il nodo della questione, che ha calamitato le reazioni italiane. «Insoddisfatto» si dice il ministro Maroni, soprattutto «perché ci sono altri Paesi europei che prevedono il reato di clandestinità e non sono stati censurati. L’Europa ci complica la vita» . Per Maurizio Gasparri (Pdl) «sbaglia l’Europa, non l’Italia» , e per Isabella Bertolini (Pdl) la decisione «è un passo indietro sulla strada della sicurezza e legalità » , mentre l’eurodeputato leghista Mario Borghezio si chiede «che cosa ci stiamo a fare in questa Ue?» . Plaudono invece alla sentenza Caritas e comunità di S. Egidio. E il Vaticano, per bocca del presidente del Pontificio consiglio dei migranti Antonio Maria Vegliò, dice che questa «dimostra attenzione e sensibilità verso la dignità della persona umana» . Dal centrosinistra, è fuoco sul governo: da Pier Luigi Bersani, Pd («L’improvvisazione ha aggravato tutto» ), a Pier Ferdinando Casini, Udc («Aspettiamo solo che Berlusconi ci venga a dire che i giudici europei sono comunisti…» ), ad Antonio Di Pietro, Idv (è «un governo a tendenza mussoliniana, ragiona col manganello» ). Dal Pd europeo, David Sassoli parla di «débacle in piena regola» , e Debora Serracchiani di «un governo delle banane» . Forse, una nuova guerra è appena iniziata.
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