Cannonate sui manifestanti 25 morti nelle strade di Dera’a

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AMMAN – Il cielo azzurro sopra Dera’a, la città  simbolo e martire della primavera siriana, alle dieci del mattino di riempie del rumore degli elicotteri che come calabroni passano a volo radente sulle case. Sono arrivati a dar man forte ai carri armati che all’alba sono entrati in città  aprendo il fuoco con i cannoncini e le mitragliatrici contro qualunque cosa, innaffiando le strade di proiettili di ogni calibro. Aprendo il percorso alle truppe di terra mandate dal presidente Bashar Assad a prendere il controllo della città  che non vuol cedere alla repressione feroce di un regime ormai giunto al suo atto finale. Impossibile avere un bilancio del bagno di sangue. La città  è stata isolata dalle forze speciali guidate dal fratello minore del presidente Maher, non c’è elettricità , le linee telefoniche sono state tagliate e i cellulari restano muti. Con mezzi di fortuna escono le cifre drammatiche della battaglia attraverso i racconti dei residenti a parenti e amici che abitano altrove. Le strade della città  sono costellate di cadaveri abbandonati nelle strade, una stima per difetto parla di oltre 25 morti, decine e decine di feriti, senza contare gli arresti dopo i rastrellamenti. Ma Dera’a non vuole cedere. Ma è una lotta impari fra chi schiera tank, elicotteri, e truppe speciali e chi si batte per la strada gridando slogan, provando a marciare verso la vecchia moschea di Al Omari, che in queste settimane di rivolta è stata luogo di culto, infermeria, ospedale improvvisato, punto di incontro per tutti coloro che si oppongono allo strapotere del Baath, il partito unico del presidente, chiedendo tre cose semplici ma inaccettabili per il regime: liberà , democrazia, riforme. Un testimone contattato al telefono prima del black-out parla di «circa tremila soldati» per le strade della città . «Sono entrati nelle case, hanno sparato a caso contro le abitazioni – racconta – stavamo dormendo, non manifestando». Un altro abitante della città  parla dell’ingresso dei carri armati nella città : «Prima delle preghiere dell’alba, verso le 4 e 30 di mattina, le forze di sicurezza siriane sono entrate mentre la gente stava andando alla moschea per la preghiera del mattino. Chi era già  nella moschea ha avvertito gli altri attraverso gli altoparlanti, ma l’attacco era già  iniziato». E dopo le ultime violenze, la Casa Bianca ha minacciato nuove sanzioni contro Damasco. Il regime di Assad si nasconde dietro false notizie che la tv di Stato continua a diffondere. L’esercito siriano – annuncia lo speaker – è intervenuto per bloccare sul nascere «la proclamazione di un emirato islamico comandato da un emiro salafita». Damasco se la prende anche con la vicina Giordania, accusata di ospitare fuoriusciti siriani e di appoggiare la protesta a Dera’a. Ieri sono stati chiusi tutti i valichi di frontiera, espulsi i giornalisti stranieri, bloccati quelli che cercavano di entrare. Il regime non vuole testimoni. Confini sigillati anche per il timore che le tribù giordane possano andare in aiuto dei fratelli siriani. I principali network arabi – Al Jazeera e Al Arabyya – continuano a mandare in onda filmati girati per le strade con i telefonini dal “popolo di Facebook”. Si vedono nettamente i cecchini dell’esercito sparare sulla gente inerme per le strade, le urla, i feriti portati via a braccia, il tentativo di togliere dalla strada i corpi dei morti che restano lì perché l’ospedale – come a Dera’a – non manda più fuori le ambulanze perché i militari ci fanno il tiro al bersaglio. Le forze di sicurezza sono intervenute anche a Duma e Muadamiyeh, vicino a Damasco. Almeno 15 persone sarebbero state uccise ieri a Banyas, città  costiera a nord-ovest della capitale ha annunciato il sito di monitoraggio “Rassd”, che trasmette anche su Twitter. Squadracce di “shabbiha” (lealisti dei clan fedeli alla famiglia presidenziale degli Assad) hanno fatto irruzione nel centro abitato indossando uniformi dell’esercito e sparando contro le case. Secondo Rami Abdel Rahmane, presidente dell’osservatorio siriano per i diritti umani, il presidente Assad ha finto di accettare il dialogo e scelto «la soluzione militare» per fermare la rivolta che in sei settimane ha già  fatto oltre trecento morti, come fece suo padre trent’anni fa. Il martirio di Dera’a è lo “schema Assad” che si ripete. Nel 1982 Hafez Assad, bombardò per settimane la città  ribelle di Hama. Allora l’opposizione al regime era composta da gruppi islamici e nazionalisti pan-arabi. La città , che aveva allora oltre 300mila abitanti, in due settimane venne rasa al suolo, il bilancio del massacro non fu mai possibile, ma all’appello alla fine mancarono oltre 40 mila abitanti.


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