Buruma: “I vecchi partiti non trovano risposte per l’Europa spaventata dalla globalizzazione”

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Una società  incapace di dare risposte alle paure e agli interrogativi che ha di fronte, sempre più ripiegata su stessa e pronta ad ascoltare le sirene dell’estrema destra. È un ritratto impietoso quello che della sua Europa traccia Ian Buruma, uno dei più noti intellettuali del vecchio continente e uno dei primi a riflettere sui motivi che stanno dietro la crescita degli estremismi in Occidente. «Convivere con valori che non si condividono è il prezzo da pagare per stare in una società  pluralistica», ha scritto recentemente riferendosi al divieto di burqa in Francia. Una frase che oggi Buruma applica anche all’ascesa dei partiti di estrema destra. Professor Buruma, la Finlandia è l’ultimo dei Paesi europei dove l’estrema destra ha trionfato alle urne presentandosi su una piattaforma xenofoba e anti-europea: come dobbiamo leggere questo segnale? «È parte di un fenomeno allargato. Quella a cui assistiamo nei Paesi occidentali è la reazione della gente che accusa le elite politiche di tutto quello che sta accadendo, dall’emigrazione alla globalizzazione. Ci sono interi gruppi sociali che sono stati lasciati indietro dalla globalizzazione: alle loro paure oggi rispondono fenomeni come quello di Sarah Palin negli Stati Uniti o dell’estrema destra in Europa. Il loro risentimento non si dirige verso le banche o il sistema finanziario, ma verso chi ha una certa visione del mondo, esce da certe università : i cosiddetti radical chic, identificati politicamente con i partiti progressisti». E che risposta danno questi partiti? «Di fronte a tutto questo i rappresentanti dei diversi centro-sinistra devono ancora trovare una voce nuova: per ora non hanno individuato le soluzioni. In particolare in Italia mi sembrano disastrosi. Non possono più tornare alle vecchie idee della social-democrazia, perché non sono più adatte. Allo stesso tempo non possono continuare a definire i partiti di destra solo con le categorie del populismo e del razzismo. Devono cominciare a prenderli sul serio e considerarli come reali avversari politici: ma non è una cosa che vedo accadere». Che evoluzione vede invece per i partiti di destra? «Li vedo crescere ancora, ma fino a quando continueranno a muoversi in un ambito democratico e non prenderanno la via della violenza non rappresenteranno un pericolo vero e proprio: piuttosto, una sfida politica e intellettuale. Non siamo di fronte a un ritorno del Fascismo e del Nazismo, non siamo negli anni ‘30: non sono neanche certo che si possa parlare in modo generico di partiti di estrema destra, perché in ogni Paese c’è una realtà  diversa. Non definirei per esempio “estrema destra” quella che si sta affermando in Olanda: è un fenomeno nuovo, più complesso». Qualunque sia l’etichetta, la grande sconfitta sembra l’Europa: perché l’Unione è incapace di reagire? «L’Europa in questa fase è oggetto di odio e rancore: una brutta posizione per dare risposte. Del resto, entrare nella politica nazionale dei vari Paesi non è suo compito: ed è anche pericoloso. Bruxelles non può farlo se non di fronte a realtà  che non sono più democratiche: e al momento neanche l’Ungheria, dove pure c’è una situazione difficile, rientra in questa categoria». Lei sembra molto pessimista… «Lo sono, ma nel breve periodo. Questo fenomeno non sparirà : è possibile anzi che cresca ancora. Gli Stati Uniti in questo senso sono una realtà  interessante da seguire: l’ascesa del Tea Party è stata rapida e significativa, ora bisognerà  vedere se si affermerà  a scapito dei repubblicani o piuttosto dei democratici. Personalmente penso che faranno molto male al partito repubblicano: se riuscissero a imporre un loro candidato nella corsa alla Casa Bianca per il 2012 sarebbe davvero preoccupante».


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