Bossi: “Così perdiamo la faccia”
ROMA – «Questi sono dei baluba, non possiamo andare avanti così perché tra poco ci sono le elezioni e rischiamo di perderci la faccia anche noi». Chi ha parlato con Umberto Bossi descrive così la crescente insofferenza del leader leghista verso gli alleati del Pdl. Sull’umore nero del “capo” pesano gli incidenti alla Camera della settimana appena trascorsa, l’incapacità del governo nel gestire l’emergenza immigrati e le manovre ad personam di Berlusconi sulla giustizia. E qualcosa nel “patto di ferro” tra il Senatùr e il Cavaliere inizia a vacillare, con il Carroccio che ormai ha lanciato una strategia di «smarcamento» dall’alleato impensabile fino a qualche giorno fa, quando lo scambio “giustizia-federalismo” ancora dettava legge. Tra i dirigenti padani il malumore verso il Pdl è palpabile. «Per ora Berlusconi non lo molliamo», tira le somme un sindaco di rango dopo le consultazioni tra i vertici del partito a poche ore dalla debacle della maggioranza alla Camera. Ma è quel «per ora» a pesare con un macigno, specialmente se seguito da un «teniamoci pronti» che ormai i leghisti fanno seguire a qualsiasi considerazione sul governo. Bossi, raccontano, i segnali in questa direzione ne ha dati molti. Come la mancata difesa di La Russa dopo il “vaffa” a Fini, il plauso a Napolitano per la convocazione dei capigruppo e la battuta di Maroni su Lampedusa (Berlusconi promette di liberarla in poche ore? «Se lo dice il premier… «). E proprio il ruolo di Maroni è destinato a pesare in questa partita. Il ministro dell’Interno è il fiore all’occhiello della Lega, è l’uomo che Bossi aspira a mandare a Palazzo Chigi in uno scenario post-berlusconiano. Ma il pasticcio del governo sugli immigrati – è il timore di Via Bellerio – rischia di offuscarne l’immagine di fronte al suo stesso popolo, con tanto di ricaduta elettorale alle amministrative. I suoi fedelissimi parlano di scintille con Berlusconi nella gestione del piano migranti, tuttora nel caos. Insuccesso che la Lega imputa a Palazzo Chigi e al Pdl e che ha mandato su tutte le furie anche Bossi. Il quale, non a caso, negli ultimi giorni va ripetendo: «Quelli se ne devono andare, qui ci sono le elezioni e il conto rischiamo di pagarlo noi». E così sale la fibrillazione degli amministratori padani. «Non possiamo permetterci di venire associati all’incapacità del Pdl nel gestire Montecitorio e i clandestini», testimonia un leghista di primo piano. Timori ai quali si aggiunge l’insofferenza leghista sulla giustizia innescata dalle papere del Pdl sulla prescrizione breve. Un elemento nuovo che rischia di minare il matrimonio con Berlusconi: «Altro che quella riforma organica che ci avevano promesso, qui stanno cercando di fare i comodi loro senza nemmeno riuscirci». Dunque via allo «smarcamento», mentre Calderoli continua a lavorare a testa bassa sul federalismo per chiuderlo entro un paio di mesi. «Loro litigano e noi zitti zitti facciamo passare le nostre leggi», confidava in settimana il ministro fresco del via libera al quinto decreto (regioni e province). È anche per questo che i big leghisti ormai discutono le strategie di lungo termine. Per ora nulla di immediato, ma nei loro ragionamenti i colonnelli padani non nascondono che se i processi Ruby e Mills dovessero rivelarsi un bagno di sangue per il premier, appena chiuso il federalismo, la Lega si dovrà sganciare per non venire travolta insieme al Cavaliere. Offrendogli protezione politica, ma chiedendogli, con le buone o con le cattive, di farsi da parte e aprire al voto che nei piani leghisti vedrebbe in Maroni il candidato di una rinnovata alleanza con il Pdl. Magari già ad ottobre. Ma lo strappo potrebbe consumarsi anche a Milano: Bossi teme la sconfitta della Moratti e potrebbe incolpare della batosta il Pdl, innescando il terremoto. Non a caso, spiegano dal Pdl, ieri Berlusconi è corso ai ripari annunciando la sua candidatura come capolista sotto la Madonnina.
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