Bollorè: “No al patto leggero in piazzetta Cuccia”
MILANO – Il faccia a faccia in Mediobanca ha il sapore zuccherino di un biscotto. Con Tarak Ben Ammar che scherza con Salvatore Ligresti, una breve riunione prima di pranzare in foresteria e altre dichiarazioni mielose. Ma un monito Vincent Bolloré lo dà : «Non usciamo dal patto almeno fino al 2022, e una versione alleggerita dell’accordo non serve agli azionisti». Non sembrano gli stessi attori che sei giorni fa hanno estromesso Cesare Geronzi dalla presidenza Generali. In avvio l’ad Alberto Nagel avrebbe anche chiesto ai consiglieri se gradivano chiarimenti sul blitz del 6 aprile, ma nessuno ha fatto domande. A riprova di come non fosse il momento e il luogo delle “compensazioni”. I consiglieri si sono confrontati su materie di routine e sulla relazione di Bankitalia dopo l’ispezione 2010 (che non avrebbe prodotto rilievi). Non s’è invece parlato del futuro dell’assicuratore triestino dopo la nomina di Gabriele Galateri. Tra l’altro, per non aver potuto cambiare l’odg dell’assemblea triestina del 30 aprile, l’uscente di Telecom presiederà Generali un solo anno: toccherà all’assemblea 2012 confermarlo. Pertanto è saltato il Comitato nomine di Mediobanca in preparazione dopo Pasqua. Dietro le quinte, però, tutti i protagonisti ritengono che i conti andranno regolati prima di fine settembre, quando va rinnovato il patto di Mediobanca sul 44,34%. Giorni fa Dieter Rampl, presidente di Unicredit, aveva chiesto revisioni al funzionamento del patto. E c’erano rumors sul possibile alleggerimento dei pesi, fino a un 30-35%. Ieri hanno replicato gli azionisti francesi. Così Vincent Bolloré, detentore di un 5%: «Una riduzione della quota sindacata non è nell’interesse di nessuno. Non credo che ci siano soci che vogliono uscire dal patto, ma non lo so». E ha aggiunto: «Mediobanca per me è molto stabile e ben gestita e naturalmente non abbiamo alcuna ragione per uscirne. Abbiamo invece tutte le ragioni per rimanere per molti e molti anni. Almeno fino al 2022». Ma in privato, Bolloré avrebbe parlato con più franchezza, dicendo che non è finita qui, e che nel suo ruolo di vicepresidente di Generali continuerà a chiedere più trasparenza. Forse, un modo per rivendicare la coerenza delle recenti critiche agli investimenti di Generali in Vtb e Ppf holding, fino ad astenersi sul bilancio 2010, e allontanare il pensiero che fossero strumentali al disegno di Geronzi di destabilizzare i manager triestini. Gli ha fatto eco il sodale Tarak Ben Ammar: «C’è l’estate di mezzo, del patto ne parleremo in autunno». I gestori di Mediobanca, prendendo atto dei buoni visi, si augurano un’assemblea Generali non turbolenta. E che, dopo un anno in cui molte energie se ne sono andate nei litigi, riparta il focus sugli affari. Ma neanche loro si illudono, temendo che i toni tra i pattisti torneranno a scaldarsi quest’estate. La componente “italiana” ha in mente di rivedere la governance, e potrebbero studiare come disintermediare il potente Comitato nomine che ospita, stile manuale Cencelli, i vari poteri del Salotto. Un’altra ipotesi di lavoro riguarderebbe il controllo dei consiglieri Generali espressi da Mediobanca. I “francesi”, invece, attendono sotto coperta un vento – anche politico e istituzionale – migliore. In mezzo, per deterrente, c’è “l’arma di fine di mondo”: sciogliere lo storico patto e rifarlo con meno attori, o attori nuovi.
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