by Sergio Segio | 28 Aprile 2011 16:05
ROMA – “Tutti i tribunali investiti di cause che riguardano il cosiddetto reato di clandestinità ora dovranno decidere in conformità a questa sentenza di Lussemburgo. Non c’è un automatismo che obbliga il governo italiano a modificare la legge, né il rischio di sanzioni da parte della Commissione europea, ma se non cambia si perderanno una valanga di cause”. È quanto ha affermato questa mattina Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), commentando la notizia della bocciatura da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea di Lussemburgo del cosiddetto reato di clandestinità .
“Avevamo già espresso la nostra posizione durante il dibattito sul ‘pacchetto sicurezza’ quando c’era già l’approvazione e la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale dell’Unione europea della direttiva sul ritorno. Non era formalmente in vigore allora perché non erano ancora passati i due anni utili per il recepimento da parte degli stati membri, ma una precedente giurisprudenza della Corte di Lussemburgo ha stabilito che durante questo periodo gli stati membri non possono fare leggi in contrasto netto con lo spirito di una direttiva già approvata e pubblicata”.
Il cosiddetto reato di clandestinità in Italia, inoltre, ha causato anche l’impossibilità del ritorno volontario assistito per quanti fossero in condizione di irregolarità . “L’introduzione del reato dell’ingresso e della permanenza irregolare era evidentemente in contrasto con una impostazione della direttiva sul ritorno che in ogni caso dà precedenza all’opzione del ritorno volontario assistito – spiega Hein -. Non si può dare l’opzione del ritorno assistito e allo stesso tempo aprire un fascicolo penale contro la stessa persona”. E fino ad oggi, aggiunge Hein, le conseguenze di tali scelte da parte del governo italiano non sono mancate. “Nella prassi ha avuto delle conseguenze abbastanza gravi. Tant’è vero che il programma italiano per favorire il ritorno volontario assistito esclude tutti i cittadini di stati terzi in situazione di irregolarità sul territorio nazionale”. Il ritorno volontario, infatti, “è un programma innanzitutto destinato a chi non ha alternativa per ottenere un permesso di soggiorno e quindi opta in queste circostanze per il ritorno per evitare la misura coercitiva dell’espulsione e del trattenimento in Centri di identificazione e espulsione”. Quella italiana, conclude Hein, è una posizione “in contrasto con la direttiva europea” che va risolta, quindi, e le indicazioni per farlo ormai ci sono. “C’è già una giurisprudenza di vari tribunali che hanno affermato che la legge comunitaria ha un rango superiore e quindi il cosiddetto reato di clandestinità non può esistere – spiega Hein -. Siamo molto soddisfatti che adesso anche nella giurisprudenza comunitaria si sia fatta chiarezza su questo contrasto”.
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