Bancomat e commissioni i mille balzelli delle banche sulle spalle dei correntisti

by Editore | 1 Aprile 2011 6:36

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«Nonostante un assetto del sistema bancario profondamente modificato che avrebbe dovuto innescare una forte spinta concorrenziale – spiega il Garante – il livello dei prezzi dei servizi e le criticità  in termini di trasparenza continuano a segnalare un confronto competitivo ancora debole». Ne fanno le spese (davvero) gli italiani, che nella fatica di districarsi tra migliaia di prodotti – ogni banca ne offre una decina per ognuno dei sei profili standard stilati dalla vigilanza – spesso rinunciano al ruolo di consumatori attenti e contribuiscono a meritarsi i conti correnti tra i più cari d’Europa, con un “sovrapprezzo italiano” stimato in 4,2 miliardi di euro annui. Come stanno le cose? È vero che gli istituti italiani si fanno pagare troppo il loro più diffuso servizio? Su quali si vanno diffondendo balzelli odiosi che scatenano la furia dei risparmiatori e le critiche di Antitrust e Mr. Prezzi? Perché agli italiani continuano a piacere le file allo sportello, simbolo di quell’approccio «fisico» alla transazione che ha costi ormai esorbitanti? Quali sono le malizie e le voci più insidiose da cui il correntista si dovrebbe guardare? I più cari in Europa Intanto bisogna dire dove si sta. E non è facile. Il conto corrente non è un formaggio, peso netto, costo al chilo. È tante altre cose: la porta d’accesso al mondo dei servizi bancari, uno strumento di transazione indispensabile ma anche il totem della relazione uomo-banca. I suoi costi variano moltissimo secondo la quantità  delle operazioni e lo strumento – agenzia, telefono, internet – utilizzato. Bankitalia, per rendere più trasparente l’offerta, ha introdotto un anno fa l’Isc (indicatore sintetico di costo) che obbliga a fornire il costo annuo per un uso standard, e profila i clienti in sei «griglie di adeguatezza»: giovani, famiglie con operatività  bassa/media/alta, pensionati con operatività  bassa/media. Le banche non possono più vendere prodotti inadatti al singolo profilo, come accadde talvolta in passato, quando la rendita di posizione garantita dal potere sovrano sui contratti permise sfracelli a danno dei correntisti. Per far capire il trend, l’Associazione bancaria italiana segnala dal 2004 a oggi un calo del 30% per il costo della singola operazione media: da 1,02 euro a 0,7 euro. Merito anche dell’introduzione dell’online banking che minimizza i costi, ma riguarda in modo sistematico appena 5,5 milioni di utenti (dato Nielsen). A fine 2010 il costo medio per la media dei profili, conteggiato dall’Abi, è di 114 euro l’anno, cui però vanno aggiunti i 34,2 euro di bolli. Il costo medio sale a 129 euro (163,2 con i bolli) per chi si appoggia di più alle filiali, mentre chi preferisce il web spende 97 euro (131,5). La Banca d’Italia, con rilevazioni proprie, giunge agli stessi 114 euro dell’Abi. Di altro tenore la reportistica della Commissione europea, che sei mesi fa ha commissionato uno studio, pubblicato da Der Spiegel, in cui l’Italia ha il primato dei costi: 295,66 euro medi annui, contro 114 euro della media dell’Europa a 27. Quei dati sono stati contestati dall’Abi: «La Commissione – spiega Gianfranco Torriero, capo del centro studi – richiama un’indagine non corretta, perché usa solo i prezzi massimi di listino, include le tasse, non contempla i conti “a pacchetto”. E include i costi associati allo scoperto di conto come forma di finanziamento alle famiglie, poco usata all’estero dove invece c’è ampio ricorso al credito al consumo». Dal canto suo, il commissario europeo ai servizi finanziari Michel Barnier critica la prassi Abi di comprendere, nella formazione del costo medio, solo alcune operazioni dei sei profili standard di vigilanza, e non tutte le operazioni possibili come fanno a Bruxelles. Sono anni che su simili numeri Bruxelles e Roma litigano. Chi dei due ha ragione? Molto dipende da come e quanto si usa il conto. Secondo l’Adusbef perfino le stime di Barnier sono per difetto. «Sfido chiunque a entrare in uno dei 34mila sportelli italiani e vedere quante operazioni può compiere con 114 euro – dice Elio Lannutti, leader di Adusbef e senatore dell’Idv – . Le banche danno per scontato che i consumatori abbiano conti a pacchetto, mentre da listino prezzi bastano 11 operazioni al mese per spendere 500 euro l’anno». Del pari, tra convenzioni, sconti e offerte civetta si può spendere anche poco. O nulla, come attesta l’Isc del Conto corrente arancio Ing, che a chi accredita uno stipendio rimborsa i bolli e passa le carte Visa e Bancomat. Ponderando dati ufficiali, ricerche private, consumatori, non pare irrealistico un costo annuo medio sui 200 euro. Con l’aggiunta di 34,2 euro di bolli si arriva 234 euro, quindi 120 euro più dei 114 euro di costo medio Ue. Moltiplicato per 35milioni di c/c italiani fa 4,2 miliardi di euro, corrispondenti al sovrapprezzo italiano, di cui 1,2 miliardi all’erario, il resto (3 miliardi) è costo paese bancario. Bancomat, scoperto e altri pericoli Ma quali sono i principali costi di un rapporto di corrispondenza? Quali le malizie e i caveat cui prestare attenzione? Due mesi fa 20 milioni di famiglie hanno ricevuto gli estratti conto 2010. L’Isc permette di verificare se si spende il giusto: basta comparare il «Riepilogo annuale spese» dell’estratto con la scheda sintetica dei 40 costi tipo che gli istituti inviano periodicamente. Se c’è troppo divario, è meglio reclamare. Oltre ai bolli e alle spese di tenuta (è sempre più diffuso il canone fisso, ma è molto variabile), le grandi spese riguardano Bancomat (10-15 euro l’anno in media), carte di credito (una trentina di euro), poi l’eventuale dossier titoli (fino a un centinaio di euro). Poi le spese per operazioni: pagamenti, domiciliazioni, prelievi, rate di mutui o altri fidi. E qui il costo sale verso le stelle se si fa ricorso allo sportello, molto più costoso dei canali remoti, per la banca e per il cliente. L’Abi stima in 6,23 euro il costo di un bonifico per cassa verso una banca diversa dalla propria, mentre la cifra si dimezza se l’addebito è in conto corrente, e cala a 0,87 euro sui bonifici via internet. Stessa dinamica per pagare le utenze domestiche: 3,16 euro al cassiere, 2,17 euro con addebito, 0,77 euro via internet e 0,09 euro con domiciliazione. Il contante incide anche se prelevato a sportelli della concorrenza, con una commissione media di 1,62 euro. In realtà , escludendo le banche online – che per questo rendono gratuiti i prelievi su tutto il circuito – ci si avvicina a 2 euro, a fronte di un costo all’ingrosso di 0,56 euro che le banche si pagano a vicenda (da poco ridotto su richiesta Antitrust, ma finora senza benefici per i clienti). Infine, occhio alla «fu» commissione di massimo scoperto, tra le più invise, e soppressa ope legis dal Tesoro a metà  2009. Salvo che le banche l’hanno riesumata con spoglie e nomi diversi, tanto da meritarsi un’indagine Antitrust e la reprimenda di Bankitalia. Tre mesi fa la vigilanza ha chiesto al Senato di migliorare la normativa, perché «consente di mantenere commissioni opache, complesse e molto diversificate». Poco prima il garante della concorrenza aveva segnalato al governo che le nuove commissioni erano peggiorative per i clienti senza fido in cinque casi su sette analizzati, e sempre per quelli affidati. L’Abi rispose ricordando che, in pochi mesi, la nuova legge aveva decurtato del 41% le commissioni sui fidi, di un terzo sugli scoperti. Sul sito www. pattichiari. it, curato dai banchieri, si possono confrontare singoli pregi e difetti. Basta inserire un indirizzo, un profilo di c/c predefinito (in questo caso, «famiglie con operatività  media») e scegliere i canali preferiti («sportello e virtuali»). Si paragonano fino a 5 prodotti per volta, e si possono scovare alcune «perle» che il buon correntista dovrebbe evitare, o almeno rinegoziare. Il «Conto molto» di Antonveneta (gruppo Mps), per esempio, la carta intestata se la fa pagare: 4 euro per l’estratto conto, e 12 euro per l’invio della posizione titoli. Al conto «Armonia Light» del Credito Artigiano invece il web non piace: 3,5 euro per un bonifico online su altra banca, un livello simile a quello degli istituti per i bonifici in addebito (che all’Artigiano costa 6,5 euro), o addirittura cash. La «Formula friend» della Popolare di Novara (gruppo Banco popolare) trattiene 3 euro per pagare utenze via telefono, e 2,75 euro per pagare la rata del mutuo, sia per cassa sia con addebito. La «Formula amico», poi, prevede una carta revolving con tasso a debito globale (Taeg) sugli utilizzi a rate del 22,07% l’anno. Occhio poi all’avviso via sms sul cellulare, comodo ma che a Novara non è gratis: 2 euro al mese. Il correntista di Banca Carige, «Stile evoluto», è meglio non perda la tessera Bancomat, o bloccarla gli costerà  12,91 euro (almeno c’è il numero verde). Il conto «Un due tre» della Bpm strapazza chi paga le utenze per cassa (5,80 euro), e chiede un euro perfino a chi le paga al Bancomat. Costa un euro anche chiedere al cassiere la lista movimenti, mentre ricevere a casa le comunicazioni di trasparenza (obbligatorie) fa 1,35 euro. Dove i solipsismi bancari diventano un coro è sugli scoperti dei conti, siano affidati o no. Intesa Sanpaolo – conto «Facile» – tassa un 18,11% annuo il rosso senza fido, più una commissione di 2 euro al giorno, gli stessi che chiede Unicredit «Genius one» a chi sconfina il fido. Carige commina, oltre alla commissione di 5 euro per i senza fido, una «penalità » – concetto oscuro ma ricorrente – fino a 3,5 euro al dì per somme oltre 500 euro. E la straniera Deutsche Bank (conto «All inclusive») applica un forfait di 35 euro sopra i 500 di scoperto. Ma commissioni e penali, per chi va in rosso, restano la prassi. Il rischio di nuovi aumenti Dopo due anni di costo del denaro ai minimi storici la redditività  bancaria è ridotta al lume. La caduta all’1% del tasso dell’euro ha ridotto gli interessi dovuti al cliente a uno zero virgola zero, e tagliato ancor più quelli a favore delle banche. Dal ‘98 la cosiddetta forbice dei tassi è scesa dal 5,8% al 3,1%, quasi azzerando l’utile che gli istituti traggono dai clienti minuti. E ora molte banche italiane sono costrette a ristrutturare le attività  commerciali. C’è rischio che ne derivino aumenti dei costi di conto corrente? Qualche rincaro qua e là  si vede. Soprattutto è in corso un riprezzamento dell’offerta: per Patti Chiari (Abi), nel secondo semestre 2010 sono aumentati i conti online per giovani (+11%) e famiglie ad alta operatività  (+3%), mentre è sceso del 5% il costo per pensionati poco operativi. Ambienti sindacali segnalano, poi, nuove strategie commerciali intonate ai tempi grami. Da inizio anno Unicredit fa pagare un costo fisso di 10 euro per cambiare il pacchetto di conto, e ha introdotto nuove voci per i più economici, tipo 1 euro di costo al mese per ogni cointestatario, od assegno. La rivale Intesa Sanpaolo ha invece soppresso a fine 2010 conto Zerotondo (perché non guadagnava più nulla, si dice), e ne sta lanciando uno modulare con canone che cala se si sottoscrivono altri prodotti. Un modo per rafforzare i ricavi incrociati e fidelizzare i clienti. Un altro andazzo indicativo è la commissione sul prelievo dei propri contanti allo sportello, che si diffonde malgrado suoni grottesca e susciti polemiche e interventi del Garante. A livello ufficiale, con l’inflazione all’1,9%, l’Istat ha registrato nel 2010 un calo annuo dello 0,5% dei «servizi finanziari». E l’Abi ha stimato, tra giugno e dicembre, un calo dell’1,7% dei costi medi annui del conto. Ma i consumatori del Codacons ritengono che l’anno scorso il costo dei conti sia salito di 28 euro, oltre il 10%. E nel 2011? «Non prevediamo aumenti dei prezzi – dice Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi – piuttosto il rilancio delle attività  retail passa per lo sviluppo dei canali remoti e della qualità  del servizio». Il leader del Monte dei Paschi e dei banchieri si difende: «Al costo annuo di due cene in pizzeria con la famiglia, o due pieni di benzina, si può ogni giorno disporre dei propri denari custoditi al sicuro, fare pagamenti, essere garantiti sotto i 100mila euro se la banca fallisce. Non mi pare esorbitante. Piuttosto, vanno ricordati i costi industriali che comporta questo strumento. Altrimenti finisce che le banche devono guadagnare con la finanza spinta». L’Abi ricorda con toni caustici «alcuni modelli stranieri» come Olanda, Belgio e Gran Bretagna, senza rivali per costi dei conti ma che rivelatisi deboli nella crisi, perché «la raccolta veniva premiata con costi bassi e poi dirottata a gonfiare attivi finanziari rischiosi – aggiunge Mussari-. L’Italia invece raccoglie sui depositi o all’ingrosso e impiega su famiglie e imprese. È un modello che ha retto e va rivendicato».

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