by Editore | 7 Aprile 2011 6:47
DAMASCO – Il mattino in cui il presidente turco Ergodan, stretto alleato della Siria, invia il capo della sua diplomazia a Damasco per «sostenere le riforme», a Palazzo c’è il viavai di sceicchi, capi tribali, associazioni familiari e oppositori, convocati dal presidente Assad a un “tavolo del dialogo” dopo tre settimane di contestazioni senza precedenti. Il ministro degli Esteri Davutoglu viene da Istanbul a dispensare «ogni aiuto possibile», dice, «per accelerare il passo delle riforme e rafforzare la stabilità del Paese». In effetti il modello turco è studiato con attenzione a Damasco, sia dai ribelli, sia dal governo. I primi vi riconoscono il sistema politico più prossimo alle aspirazioni della primavera araba. Le autorità lo ritengono un utile canovaccio sul quale imbastire le nuove leggi. Quanto all’abrogazione della legge marziale, fissata entro il 25 aprile, Ibrahim Daraji, un giurista, fa sapere che sono all’esame le normative europee, in particolare di Francia e Gran Bretagna, in materia di anti-terrorismo e di convenzioni dei diritti umani, per sostituire lo stato d’emergenza. Mentre Davutoglu è a colloquio con il raìs, nel Palazzo del popolo si avvicendano gli sceicchi curdi di Al Halaka, i capi tribali di Dera’a, notabili e familiari delle vittime di Duma e un consiglio di Latakia, le città più toccate dai lutti e dagli scontri. Tra gli oppositori convocati al “tavolo del dialogo” c’è un personaggio come Nadem Darwish, 36 anni, del Centro per la libertà d’espressione. E’ da poco in libertà : «Ero stato accusato d’avere diffuso informazioni esagerate sulle violenze a Dera’a – dice – M’hanno liberato il giovedì dell’annuncio delle riforme da parte della portavoce presidenziale Sha’ban». Nel gruppo di una quarantina convocati al dialogo, dice Darwish, ci sono altri veterani come «Luay Hussein, attivista dei diritti umani, e Fayez Sara della Dichiarazione di Damasco per il cambiamento democratico». Cosa s’aspetta Darwish dall’apertura? «E’ un inizio. Certo, ho molti interrogativi. Vorrei sapere, ad esempio, se i punti concordati saranno applicati. Né mi sfugge che il dialogo dovrebbe essere la norma». Nel congedarsi, Darwish riflette: «La chiave è nella fiducia. Come ristabilirla? Come recuperare il legame che s’era costruito fra i cittadini e le autorità dal 2000 al 2006? Nell’ultimo triennio la speranza s’è persa. Ora serve una transizione chiara verso la democrazia. E’ ancora possibile farlo, in pace, con il regime. Però, la piazza è un passo avanti. Hanno ragione i turchi: è l’ora d’accelerare».
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