Accoglienza rifugiati, lo Sprar accusa: “Servizio ignorato e scavalcato”

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ROMA – “Abbiamo a disposizione 3 mila posti, che garantiscono un’accoglienza di circa 6-7 mila persone all’anno, quindi insufficienti rispetto alle migliaia di richiedenti asilo che restano fuori: è il punto debole di un sistema che vuole essere istituzionale, il braccio dello Stato operativo sul fronte dell’asilo”. E la situazione che il Paese sta vivendo in questi mesi, con gli sbarchi a Lampedusa? “Non si tratta di un’emergenza umanitaria, ma dell’emergenza di farvi fronte, con costi spropositati e non tenendo in considerazione una rete di accoglienza che già  esiste sui territorio. Invece ora abbiamo dei sistemi che viaggiano in parallelo: il nostro e quello “appaltato” alla Protezione civile”. Lo ha osservato Daniela Di Capua, direttrice del Servizio di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), intervenendo nel tardo pomeriggio di ieri all’incontro “I rifugiati a Roma: una storia lunga 30 anni”, svoltosi presso la Sala Assunta di via degli Astalli nell’ambito del corso di formazione “C’era una volta l’asilo”, promosso dall’associazione Centro Astalli a 60 anni dalla Convenzione di Ginevra.

Nato nel 2002 dopo un biennio del “Programma nazionale asilo” (primo sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio nazionale), grazie alla legge 189 che in quell’anno ha istituzionalizzato le misure di accoglienza organizzata, lo Sprar è affidato alla gestione dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e costituito dalla rete degli enti locali che – per la realizzazione di progetti di accoglienza dei rifugiati – accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Pur “avendo standard di accoglienza addirittura superiori a quelli indicati dalla normativa europea per l’accoglienza dei rifugiati”, e avendo ideato servizi ad hoc per i richiedenti asilo “con disagio mentale, purtroppo in aumento”, lo Sprar sembra non essere legittimato nel nostro Paese come “cabina di regia” per quanto concerne i rifugiati, ha denunciato Di Capua, insistendo: “Nelle cosiddette emergenze, improvvisamente lo Sprar – che dovrebbe essere il perno nella gestione dell’accoglienza – è stato completamente ignorato e scavalcato, come se non esistesse, se si dovesse ricominciare da capo e tutto dovesse essere ancora inventato nell’ambito dell’asilo in Italia”. E ha aggiunto: “Il fatto che la gestione sia stata data in mano alla Protezione civile, insieme ai soldi, significa che si vuole dare un certo tipo di connotazione alla situazione”.

Una connotazione che sa di “emergenza”, appunto, e non di progettualità  in vista di un percorso d’integrazione: “Le regioni non volevano le tendopoli, invece sono sorte in Puglia (2.300 posti), Sicilia (600 posti), Campania, a Campobasso… Ci è stato promesso di aumentare di 1.000 unità  i posti gestiti dallo Sprar, ma nulla è stato definito in merito ai criteri, ai casi vulnerabili, a quali servizi verranno erogati: si limiteranno a vitto, alloggio e assistenza sanitaria di base, oppure comprenderanno i corsi d’italiano, la mediazione culturale, l’assistenza legale? Non sappiamo quante risorse avremo a disposizione…”. Infatti non si tratta solo di un problema di “regia” e di coordinamento: “appaltare” alla Protezione civile e alle forze dell’ordine la gestione dei richiedenti asilo “costa molto di più: i cosiddetti Cara (Centri accoglienza richiedenti asilo, strutture provvisorie collettive) costano 70-80 euro pro capite, escluse le spese dei controlli di sicurezza, mentre lo Sprar prevede una diaria di 35 euro al giorno”.

E la sua rete si dipana su tutto il territorio nazionale, nei piccoli comuni come nelle grandi città , “con 153 progetti presenti in tutte le regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta: ben poco, se si pensa che in Italia ci sono 8mila comuni…”. Insomma, sul territorio si potrebbe fare molto di più, ma “manca un percorso chiaro e coordinato su dove andrà  un richiedente asilo appena arriva, nel mese successivo, nel lungo periodo: tappe che dovrebbero accompagnare la persona in un iter omogeneo a Roma come a Milano, a Sezze o a Cuneo, con risposte ad hoc nelle reti territoriali”. (lab)

 

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