Verso Sirte con i ribelli che cingono d’assedio l’ultimo feudo del raìs

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AL ASSUN – È diventata ormai un’abitudine; gli shabab aspettano con ansia le incursioni degli aerei francesi e inglesi; e appena i governativi si ritirano, storditi dagli attacchi dal cielo, spesso decimati e senza più mezzi blindati perché carbonizzati dai missili, loro, gli shabab, avanzano. È uno spettacolo vederli partire con slancio all’inseguimento dei nemici. Sembra che inseguano tanti Gheddafi in fuga, perché scandiscono in continuazione il nome del raìs accompagnato da qualche insulto. Gridano anche Allah Akbar, Dio è grande, ma se chiedi se si tratta di una invocazione religiosa, ti dicono che no, per carità  è una semplice abitudine. Noi giornalisti siamo inghiottiti dalle battaglie che sembrano manifestazioni. È difficile evitarle. Gli shabab li incontriamo lungo la strada. Ci salutano, agitano i loro kalashnikov e ci chiedono gridando da dove vieni. È un rito. Sei su una pista dove fai conversazione con i passeggeri del camion che sorpassi o che ti sorpassa. Alcuni shabab hanno magliette col nome di Gucci stampato sopra. Ma ci sono anche le magliette Armani. Immagino contraffatte. Il bizzarro, pittoresco abbigliamento non dà  soltanto l’impressione di confusione. Col tempo ti abitui e pensi sia anche un modo esprimere la grande voglia di libertà . C’è anche qualcosa di laico perché di tradizionali abiti musulmani se ne vedono pochi. Quando poi arrivi su quella che dovrebbe essere la linea del fronte sei subito recuperato dagli shabab desiderosi di avviare conversazioni. E questo avviene tra le raffiche di kalashnikov sparate per aria e mentre qualche pattuglia si avvicina attraverso il deserto alle postazioni dei governativi, e tasta il terreno senza impegnarsi in scontri a fuoco. Qui ad Al Assun noi siamo ovviamente ai margini dell’abitato, che è occupato dai governativi. I quali ogni tanto lanciano qualche razzo che appicca il fuoco agli impianti petroliferi, numerosi nella regione, fino a Ras Lanuf, che sta alle nostre spalle, ed oltre. Colonne di fumo si alzano spesso all’orizzonte. Nella mattina una ventata d’ottimismo aveva fatto credere, non a noi ma al resto del mondo, che gli shabab fossero entrati nella città  di Sirte. Era falso, poiché eravamo fermi ad Al Assun. Sirte è l’obiettivo del momento. Per gli shabab sarebbe una bella presa. Dopo avere inseguito per quarantotto ore i governativi, lungo la strada litorale che taglia il deserto dritta come una spada per centinaia di chilometri, sono convinti di meritare l’ingresso a Sirte. Per loro sarebbe un po’ come affrettare la fine di Gheddafi, che è nato nella provincia, dove risiede la sua tribù. La regione della Sirte occupata dai ribelli sarebbe una grande umiliazione per l’orgoglioso raìs. Ed anche un grave scacco militare. Dipenderà  molto dalle incursioni aeree della coalizione. Ce ne sono state ieri sera, ma lontane, forse nelle vicinanze di Sirte. Per gli shabab ce ne vorrebbero anche ad Al Assun, un povero borgo sonnolento investito dalla guerra civile e vuotato dei suoi abitanti. Adesso dispersi nel deserto o fuggiti a Bengasi. La ritirata dei governativi nelle ultime quarantotto ore è stata veloce, precipitosa. Hanno dovuto abbandonare le città  troppo isolate nel deserto, e quindi difficili da raggiungere. Avvicinandosi a Tripoli le distanze diminuiscono e la capacità  di resistenza delle varie guarnigioni dovrebbe aumentare. Le incursioni aeree della coalizione avranno delle difficoltà  ad evitare la popolazione civile, e quindi saranno più caute e meno frequenti. Gli shabab non potranno avanzare con la rapidità  degli ultimi giorni. Molti puntano sulla diserzione delle tribù adesso alleate di Gheddafi. La radio della Libia libera continua a lanciare appelli ai Warfalla, agli uomini della più importante tribù del paese, che non è sempre stata amica del raìs, dal quale ha subito spesso prepotenze che non si dimenticano. Una congiura di palazzo, dice uno shabab sul fronte di Al Assun, sarebbe una benedizione. Affretterebbe i tempi e diminuirebbe i morti.


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