Venerdì della rabbia nel mondo arabo un manifestante ucciso in Giordania

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GERUSALEMME – Un venerdì di proteste, marce, scontri e sangue in tutto il Medio Oriente. La “tempesta perfetta” non si ferma e la violenta repressione dei regimi arabi non sembra essere sufficiente a fermare l’onda della protesta che chiede riforme, democrazia e libertà  dalla Giordania al Bahrein, dallo Yemen all’Arabia Saudita. Ma la risposta dei regimi è stata ovunque la stessa, polizia e esercito in piazza, manganelli in azione, spari contro la folla, con un bilancio di centinaia di feriti. Ad Amman nell’attacco della gendarmeria a Piazza Nasser – dove da giorni i giovani del movimento “24 marzo” avevano piantato le tende – è stato ucciso un anziano passante, scambiato dagli agenti per un manifestante. GIORDANIA La tensione nella capitale del regno hashemita è altissima, ieri si contavano oltre 130 feriti tra l’opposizione riformista, guidata dagli studenti, e i fedelissimi di re Abdallah che li hanno attaccati. Un passante è morto per le percosse subite. Per contenere le manifestazioni è stato usato sistema molto simile a quello che Mubarak tentò al Cairo a gennaio, mettere in piazza i fedelissimi del partito come manganellatori. La polizia in assetto anti-sommossa è poi intervenuta con gli idranti e decine di studenti sono stati arrestati. Gli scontri sono stati innescati quando circa 200 lealisti hanno iniziato a lanciare pietre contro oltre 2.000 giovani dimostranti di diversi gruppi, inclusa l’opposizione islamista, che chiedevano riforme e un maggiore impegno nella lotta alla corruzione. Gli scontri sono scoppiati proprio mentre a Amman arrivava il segretario alla Difesa Usa, Roberts Gates per incontrare re Abdallah. Washington è preoccupata per le manifestazioni che dal gennaio scorso scuotono il Paese. Per placare lo scontento, il re ha nominato un nuovo premier, Marouf Bakhit, che però ha subito chiuso la porta alle riforme destinate a avviare una monarchia costituzionale, chiesta a gran voce dalla piazza. YEMEN E’ fallita ancor prima di cominciare la mediazione fra il presidente contestato Ali Abdullah Saleh, e il potente generale Ali Mohsen, passato con i rivoltosi insieme a buona parte dell’esercito. «Non sono riusciti a giungere a un accordo per evitare la crisi», fanno sapere i consiglieri dei due, che fra l’altro sono fratellastri. Si erano incontrati giovedì notte nell’abitazione del vicepresidente Abdrabbo Mansur per intavolare una trattativa e sembrava che avessero raggiunto un’intesa: dimettersi contemporaneamente per evitare un bagno di sangue nel Paese. Ieri centinaia di migliaia di manifestanti pro e contro il presidente yemenita Saleh si sono radunati in due diversi punti della capitale Sana’a, accerchiata dalle forze di sicurezza. Saleh si mostra sicuro, e annuncia che «resisterà  fino alla fine». ARABIA SAUDITA Venerdì di protesta anche nel regno wahabita. Nuove dimostrazioni nella parte orientale del Paese, dove vive una forte comunità  sciita. Centinaia di persone sono scese in strada nella zona di Qatif, già  epicentro di proteste in passato. I cortei si sono svolti in modo pacifico e senza alcun intervento da parte delle forze dell’ordine. I manifestanti sventolavano bandiere del Bahrein per esprimere solidarietà  agli sciiti del regno-arcipelago che da settimane chiedono la fine del regime sunnita dei Khalifa, da due secoli al potere. Per aiutare il governo di Manama a reprimere la rivolta, Riad ha inviato in Bahrein 1500 soldati, provocando lo sdegno delle comunità  sciite del Golfo. I manifestanti sauditi invocavano anche la liberazione dei detenuti politici. Il timore che la “primavera araba” possa investire anche il ricco regno del Golfo, perno della stabilità  della regione, ha spinto l’87enne re Abdullah a varare un piano di aiuti di 93 miliardi di dollari. BAHREIN Nel “venerdì della rabbia” i manifestanti sono scesi in piazza in diverse zone della capitale Manama nonostante la legge marziale. Si è trattato di piccole manifestazioni, che sono state però contenute e represse dalle forze dell’ordine. Il governo ha blindato la capitale, con un ampio dispiegamento di forze: la città  è stata sorvolata da elicotteri e controllata attraverso diversi check-point sulle strade principali. La polizia ha usato i lacrimogeni per disperdere i manifestanti, che stavano marciando in una delle strade contigue alla pista di atterraggio dell’aeroporto internazionale del Bahrein. Ma le proteste non si fermeranno, promette l’opposizione. «Dopo tutti questi morti – ha detto uno dei dimostranti – noi continueremo a protestare. Vogliamo solo una nuova Costituzione, ma loro non sono pronti per la democrazia».


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