Una dinastia spregiudicata che adesso ha paura della “Primavera di Damasco”
bengasi – Venne battezzato il Bismark dell’Estremo Oriente. Era un uomo freddo e duro. Prese il potere a Damasco nel 1971, due anni dopo che il colonnello Muhammar Gheddafi l’aveva preso a Tripoli. I due colpi di Stato sono avvenuti in contesti diversi. Uno contro un debole regime siriano. Il quale era stato sconfitto e umiliato in una battaglia delle truppe blindate beduine di re Hussein di Giordania, dopo il Settembre nero, che aveva opposto i palestinesi di Al Fatah, di cui Arafat era il capo, e i beduini del monarca hascemita. Più che essersi schierato con Arafat, Damasco aveva colto l’occasione per affrontare l’avversario re Hussein. In Libia fu invece spazzata via una monarchia fragile, incerta nel gestire la nuova ricchezza del petrolio. Ma entrambi i colpi di Stato hanno allora confermato che il dispotismo nel mondo arabo era riservato, in quegli agitati decenni, ai militari. Hafez el-Assad (Assad I) sembrava in verità destinato a una breve carriera di dittatore. Ero a Beirut in quei giorni e non avrei puntato un centesimo su di lui. Apparteneva a una minoranza, era un alauita, una corrente dell’Islam relegata in Siria sulle montagne, e quindi non avrebbe retto, secondo i sofisticati analisti di Beirut, all’inevitabile rivalità delle altre comunità , assai più numerose e assuefatte a governare. Uno dopo l’altro, gli amici e colleghi libanesi e siriani autori di quella profezia morirono invece prima di lui. Furono uccisi nella interminabile guerra civile libanese, in cui Hafez el-Assad ebbe sempre un ruolo determinante e deleterio. Tra quelle vittime c’era un vecchio amico: il cristiano maronita Edouard Saab, coraggioso direttore del quotidiano Le Jour, colpito da una pallottola in fronte, nel centro di Beirut, mentre era al volante della sua automobile. Seduto accanto a lui, Henry Tanner del New York Times uscì indenne. Assad senior è morto nel suo letto, e il figlio Bashar gli è succeduto undici anni fa. Gli Assad sembrano o sembravano eterni. Ma, a dispetto delle apparenze, l’abile, spregiudicato equilibrio su cui si è appoggiato per decenni il loro clan, basato in gran parte sulle forze armate, cominciava a traballare. Per questo non mi stupisce quel che sta accadendo in queste ore. Anche se non è facile scalzare Assad. Il suo potere ha radici profonde. E il sangue scorre facilmente in Siria. L’esercito esiste e conta. Come ha contato e conta in Egitto; e non conta invece in Libia, dove Gheddafi un esercito vero non l’ha mai creato. Giocando sulla strategica posizione della Siria (sull’asse della “Mezzaluna fertile” con l’Iraq e limitrofa anche del Libano, della Giordania, della Turchia e d’Israele), i due Assad padre e figlio, al contrario dell’Egitto dello Yemen e della Giordania non hanno mai stretto un’alleanza con gli Stati Uniti e hanno mantenuto relazioni privilegiate con l’Iran, dopo la rivoluzione khomeinista. Gli Assad si sono destreggiati nei rapporti con i palestinesi. Hanno fomentato le rivalità tra le correnti. Li hanno combattuti, uccidendone più di quanti ne abbiano uccisi gli israeliani. Con Hamas, Bashar, il figlio, va d’accordo. Ne ospita i dirigenti. Esercita inoltre un’influenza sugli hezbollah libanesi, con i quali sa essere severo quando deve placare le preoccupazioni all’interno del suo paese, dove è vivo il timore di essere trascinati da quegli alleati sciiti libanesi esaltati in disordini simili a quelli che tormentano, insanguinano il vicino Iraq. Inoltre la Siria è sempre ufficialmente in guerra con Israele, che occupa un territorio siriano sulle alture del Golan. Con il clan degli Assad hanno conti da regolare i Fratelli musulmani, che il padre Hafez massacrò nella città di Hama, poi demolita con i bulldozer. Nella rivoluzione araba che infuria, la Siria di Assad presenta la peculiarità di essere antiamericana, al contrario della Tunisia dei Ben Ali e dell’Egitto di Mubarak. La Libia di Gheddafi sfuggiva ad ogni classificazione prima di essere tragicamente isolata. Ma l’antiamericanismo non sembra rappresentare un vaccino contro la protesta democratica. La collera dei manifestanti a Tunisi e al Cairo era rivolta contro i rispettivi raìs, senza alcun riferimento agli Stati Uniti e a Israele. E i ribelli libici invocano l’aiuto occidentale. Bashar el-Assad è accusato dai manifestanti di essere un falso riformatore. Laureato in medicina, e poi convertito alla politica per prendere la successione del padre, egli si prestava come un uomo aperto alla modernità , appassionato d’informatica ed esperto internauta. Ma ha fatto disperdere brutalmente le timide manifestazioni dei giovani armati di candele riunitisi la sera a Damasco per appoggiare l’insurrezione del Cairo. Il caso di Tal al-Malluhi, una ragazza di diciannove anni, autrice di blog impertinenti, arrestata, maltrattata, condotta in tribunale con gli occhi bendati e le manette, e condannata a cinque anni per spionaggio a favore degli Stati Uniti, non ha reso credibile la conversione democratica di Bashar. Le promesse in favore della democrazia, della critica costruttiva e della trasparenza, sono state propagandate a lungo. Avrebbero dovuto promuovere la «Primavera di Damasco». Ma il regime ha continuato a mantenere lo stato d’urgenza in vigore dal 1963. Per questo gli oppositori denunciano come una truffa l’esibito riformismo di Bashar el-Assad. E non hanno creduto quando in febbraio ha annunciato che gli avvenimenti di Tunisia, d’Egitto e dello Yemen, avevano aperto una nuova era in Medio Oriente. Il tentativo di accodarsi alla primavera araba non gli è riuscito. Le organizzazioni dei diritti dell’uomo denunciano la Siria come uno dei paesi in cui si pratica di più la tortura in trent’anni sarebbero scomparsi diciassettemila persone.
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