Una cordata di banche per Parmalat

by Editore | 28 Marzo 2011 6:24

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MILANO – Ferrero frena sul dossier Parmalat. La famiglia di Alba avrebbe fatto sapere a IntesaSanpaolo nelle ultime ore – come anticipato da Il Messaggero – di non essere disposta per il momento a entrare nella cordata italiana per strappare Collecchio a Lactalis. Decisivo sarebbe stato il «no» del padre Michele che – come già  successo un anno fa in occasione della possibile Opa sull’inglese Cadbury – ha preferito evitare di fare il passo più lungo della gamba malgrado i due figli Pietro e Giovanni spingessero per il blitz sull’azienda guidata da Enrico Bondi. La stessa Ferrero del resto aveva già  esaminato il dossier Parmalat un paio di anni fa (a prezzi decisamente più convenienti) decidendo poi di lasciar perdere. Oggi non solo l’affare sarebbe stato più costoso ma avrebbe rischiato di esporre la società  piemontese a una coabitazione con i francesi non gradita a Mister Nutella. La retromarcia dei Ferrero complica ma non ferma il lavoro di Corrado Passera per la cordata italiana. Certo i soldi della dinastia di Alba – che nelle sue holding lussemburghesi ha liquidità  per 3 miliardi di euro – avrebbero fatto parecchio comodo. L’idea a questo punto sarebbe quella di varare una newco tricolore in cui Ca D’Sass potrebbe mettere secondo indiscrezioni fino a 300 milioni di equity, aprendone il capitale ad altri partner finanziari che già  hanno dato la loro disponibilità  a imbarcarsi in questa avventura. Giovanni Tamburi, numero uno della Tip, ha detto di essere pronto a mettere a disposizione 350 milioni. In campo potrebbe scendere anche Palladio finanziaria attraverso Venice European Investment, un fondo creato sei mesi fa con Generali e Veneto Banca con 600 milioni a disposizione. Altri partner finanziari sarebbero alla finestra pronti a dare il loro contributo. Alla cordata potrebbe poi essere conferito il controllo della Granarolo (partecipata al 19% da Banca Intesa) il cui valore è stato stimato appena sotto i 400 milioni. Fatto l’esercito, resta poi il problema di vincere la guerra con i francesi. La cordata italiana si tiene per ora tutte le opzioni aperte: un’alleanza con i Besnier per la gestione della Parmalat, l’acquisto del loro 29% o il rastrellamento di azioni in Borsa in vista di una sfida in assemblea e perfino l’offerta d’acquisto parziale. Ieri Antonio Sala, deputy general manager di Lactalis e presidente del gruppo Lactalis Italia, ha voluto tranquilizzare il mondo politico e Umberto Bossi in particolare, «Parmalat è nata e cresciuta in Italia e si svilupperà  ancora dall’Italia». I veri convitati di pietra nella partita sono il governo e le autorithy in campo sulla partita. Consob (e la magistratura) stanno lavorando sulla correttezza degli acquisti di Parigi mentre rischia di essere decisivo il nodo dell’antitrust, che in teoria potrbbe congelare i transalpini in attesa del via libera al loro ingresso a Collecchio. Intesa deve comunque scoprire le carte in tempi abbastanza brevi: la formalizzazione di un interesse per Parmalat potrebbe essere la carta decisiva per convincere il presidente della società  Raffaele Picella a rinviare a fine giugno l’assemblea prevista per il 14 aprile, come consentito dal decreto anti-scalate.

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