Sul barcone alla deriva nasce Yeabsera in salvo il bambino della speranza

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LAMPEDUSA – Da un telefono satellitare, sperduto in mezzo al mare, in mano a Samuel, alla deriva insieme ad altri 300 disperati che stanno per affondare, si sentono voci, grida d’aiuto e il vagito di un bambino appena nato. È il frutto di un miracolo, forse non il solo di questa lunghissima giornata. Ieri sera un’altra donna ha avuto le doglie a bordo. Il primo neonato lo hanno chiamato Yeabsera che vuol dire “dono di Dio”. Sono le tre del pomeriggio di ieri ed il barcone di fuggiaschi è ad almeno sessanta miglia da Lampedusa. Per salvare il piccolo arriverà  un elicottero. È la prima imbarcazione di migranti che muove dalla terra di Gheddafi: potrebbe essere l’inizio della temuta ed evocata invasione della quale parla da settimane il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Sta per affondare, nessuno la soccorre. Grazie all’allarme disperato di Samuel, che raggiungiamo sul suo satellitare, siamo in grado di avvertire del pericolo la capitaneria di porto di Lampedusa e le autorità  competenti. La barca zeppa di eritrei e somali è ancora in acque maltesi, che rifiutano di intervenire. È da Lampedusa che due motovedette della guardia costiera, finalmente, partono. Intanto una nave militare canadese rifornisce d’acqua i migranti e gli uomini a bordo provano perfino a riparare il motore. Il tentativo fallisce, la barca viene lasciata al suo destino. Solo alcune ore dopo quando il sito di Repubblica.it ha messo in rete la drammatica storia di quei disperati, la nave militare italiana che pattuglia le coste libiche assieme ad altre navi della Nato, decreta lo stato di emergenza. Non basta. Informato del parto a bordo, il comandante della nave della Marina militare Etna fa levare in volo un elicottero che dopo alcuni minuti piomba su quella bara che galleggia. Un marinaio si cala sull’imbarcazione e trae in salvo madre e figlio, che fanno rotta verso Lampedusa dove arriveranno poco dopo le 20. Sono ancora uniti dal cordone ombelicale che viene tagliato da un medico militare a bordo dell’elicottero. Yeabsera e la sua mamma stanno bene, si sono salvati. I loro connazionali sono ancora in mezzo al mare ma guardati a vista da una nave militare e dalle motovedette sulle quali saliranno per essere dirottati a Linosa perché a Lampedusa è in corso una vera e propria guerra, ed il sindaco dice che sull’isola invasa dai tunisini, non sbarcherà  più nessuno. La storia di Yeabsera e dei trecento disperati che navigavano da quattro giorni nel Canale di Sicilia, c’è la racconta Samuel che avevamo miracolosamente raggiunto sul satellitare. «Siamo 330 su questa barca di legno, ci sono donne e bambini e sei sono incinte. Abbiamo paura di affondare e siamo senza acqua e cibo. Aiutateci, mandate i soldati». Ed è sempre Samuel che precisa: «Siamo partiti da Misurata in Libia quattro giorni fa: molti di noi avevano provato a raggiungere l’Italia nel 2009 e nel 2010, ma le navi italiane prima ci avevano soccorso e poi ci avevano rispedito nell’inferno libico. Eravamo rinchiusi lì da qualche anno, i libici ci torturavano, le donne venivano sistematicamente violentate e quando è scoppiata la guerra siamo scappati dai campi dove ci tenevano chiusi». E poi Samuel aggiunge: «Abbiamo trovato rifugi di fortuna, non uscivamo dai nascondigli perché i libici ci sparavano addosso pensando che eravamo mercenari africani al soldo di Gheddafi. Poi la situazione è diventata più difficile ed abbiamo deciso di fuggire, di raggiungere il porto e le spiagge di Misurata e siamo partiti diretti verso Lampedusa». Per quattro giorni questi migranti hanno navigato con l’aiuto del gps del satellitare di Samuel, poi una nave canadese li ha intercettati. «Speravamo che ci salvassero – continua Samuel- invece ci hanno lasciato in mezzo al mare con il motore guasto. Abbiamo rischiato di morire quando siamo stati raggiunti da un’onda anomala, la nostra imbarcazione era stracolma. Abbiamo visto le luci di una nave e quando dall’alto è spuntato un elicottero abbiamo ringraziato Dio….».


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