Sol levante, informazione calante

by Editore | 25 Marzo 2011 7:28

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La domanda che un lettore si poteva porre era: scusate, ma perché non fargli un’intervista? ma perché non cercare con un pezzo di spalla di sottolineare i molti punti critici sollevati dall’excusatio petita di Veronesi? No: non è questo il giornalismo italiano. Mentre in questi giorni i pezzi del Guardian, del New York Times sono sempre articoli che informano, corredati da esemplari infografiche in 3D o da editoriali che cercano di fornire al lettore gli strumenti per formarsi un’idea, quelli della nostra stampa più diffusa sono improntati all’annuncio dell’Apocalisse, o della scampata Apocalisse: allarmano, consolano, riallarmano, sorvolano, dimenticano. Provate a farvi una mini rassegna stampa sulle ultime pagine degli esteri: troverete un florilegio di shock e terrori, miracoli e inferni, lotte contro il tempo, incubi che sembrano non finire, eroi di questa apocalisse, orli del baratro, carattere fiero dei giapponesi, uomini contro macchine, è arrivata la fine, nature beffarde e spietate… E nel frattempo, in modo poco chiaro, qualche interpolazione di dichiarazione ufficiale che dovrebbe bastare a esaurire la questione della comprensione del problema da un punto di vista tecnico. Magari sono ingeneroso o distratto io, ma anche voi provate a chiedere a qualcuno dei vostri amici perché bisogna raffreddare queste benedette barre, o perché si sono verificate le esplosioni finora. Se questa è l’informazione, magari andrà  meglio con il dibattito, la riflessione, uno si dice. Ecco che, per esempio, il Corriere si è sentito in dovere – per dare ai lettori la possibilità  di formarsi un’opinione sul nucleare – di chiamare in causa per il fronte del sì Edoardo Boncinelli. Un genetista, non un ingegnere nucleare, ma quantomeno uno scienziato. Che al momento di argomentare ha scritto così: «Al nucleare non ci sono vere alternative e le nazioni più sviluppate e civili ce lo hanno e lo usano da anni. Sviluppare il primo argomento richiederebbe pagine e pagine, scomodando una quantità  impressionate di cifre. Non lo farò qui, ma tutti in cuor loro sanno che una vera e propria alternativa al nucleare non c’è, almeno per ora e chissà  ancora per quanto tempo». In cuor loro? In cuor mio cosa?, mi sono chiesto. Forse se Boncinelli avesse citato qualche fonte in grado di suffragare questa sua affermazione, o alcuni rapporti che sarebbe conveniente leggersi, forse se avesse indicato a uso di noi poveri lettori – spaventati dalla «quantità  impressionante delle cifre», o dalle «pagine e pagine» che questa argomentazione richiederebbe – almeno che so un paio di libri utili a orientarsi, non è che ci avrebbe fatto proprio un brutto servizio. Ma non fissiamoci su Boncinelli; perché, a militare in prima pagina sul fronte del no chi trovavamo? Adriano Celentano. In una sua appassionatissima lettera al Direttore ci ha voluto chiarire quali sono i riferimenti importanti di cui tenere conto per non rimanere sprovveduti di fronte alla «quantità  impressionante delle cifre» che un pro-nuclearista potrebbe snocciolarci; e ci ha scritto direttamente in maiuscolo (uno ogni cinque righe) quelli che lui ritiene i punti focali della sua invettiva, che – spero di non fare torto al ragionamento – potrebbe sintetizzarsi in questo modo: il nucleare non va utilizzato perché no. Leibniz l’avrebbe chiamata un’applicazione un po’ azzardata del principio di ragione sufficiente. Ma è veramente così difficile consentire, a chi lo vuol fare, di capire cosa è accaduto ai reattori giapponesi, e aiutarli anche a elaborare una posizione sul nucleare in modo meno impulsivo? È così corretto citare Chernobyl come uno spauracchio che ci esime da ogni approfondimento, o meglio sapere cosa possiamo imparare da Chernobyl andandoci a leggere, per dirne una, il reportage scientifico redatto nel 2006 da Ronald K. Chesser e Robert J. Baker, dove si analizzavano gli effetti sul lungo periodo del fall-out radioattivo e si provava a fare chiarezza rispetto a quelli che sparano cifre sulle vittime che vanno da 30 a 93.000? (http://www.groenerekenkamer.nl/grkfiles/images/Chesser%20Baker%2006%20Chernobyl.pdf) Sembra che l’informazione nostrana debba riscoprire ex-novo delle sue regole deontologiche minime: dare la notizia, essere chiari, pubblicare opinioni fondate piuttosto che strali retorici, sviluppare per quanto possibile un pluralismo di prospettive, fornire altre fonti di approfondimento… Questo ruolo lo svolgono sempre meno i media mainstream e sempre di più quelli dal basso, quelli che potremmo definire «di secondo grado». Dai giornali on line come il Post.it o lettera43.it, dalle radio in streaming ai siti delle case editrici… anche in Italia si sta affermando in molti diversi luoghi un modello diverso di informazione: un giornalismo che preferisce non «arrivare prima», ma «arrivarci bene» sulla notizia, capace quindi anche di selezionare, controllare, integrare il flusso di dati e emozioni altrimenti ingestibili che ci piovono addosso ogni giorno. Non doveva essere impossibile ricostruire la dinamica di Fukushima, le diversità  e le analogie con Three Mile Island e Chernobyl – e ragionare in questo modo anche sulle questioni sicurezza rispetto all’errore umano e quello di progettazione. Giorgio Ferrari l’ha fatto in un paio di pagine sul sito di Radio Città  Aperta, rimbalzate ovunque in rete. Così come non doveva essere impossibile articolare un pensiero di sostegno allo sviluppo all’energia nucleare senza buttarla in caciara: se c’è riuscito il fisico e blogger dell’Espresso, Enrico Pedemonte sul sito de Linkiesta. E non doveva essere impensabile provare a riflettere da una prospettiva meno tecnica, e più umanista, sulla questione nucleare, senza scadere nell’apocalissifilia, se – anche qui – l’ha fatto benissimo il filosofo della scienza Antonio Sparzani su Nazione indiana. Come non dev’essere impensabile cominciare un dibattito sul nucleare, utilizzando contributi autorevoli e articolati, che è quello fanno da anni decine di blog e riviste on line (date un’occhiata in questi giorni a galileo.net o al sito di Giorgio Fontana, per fare due esempi tra i tanti…). E alla fine insomma, con un po’ più d’impegno, forse ogni Grande Angoscia può trasformarsi in un timore serio ma non paralizzante, quello che forse serve a noi esseri umani a non soffocare per l’ansia; e anche a fare delle scelte che ci aiutino a vivere meglio in futuro.

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