Silvio forever un incubo mediatico
Fra l’ilarità generale, una signora ha esclamato: «Oddio, e che cos’è questo?!». Nel buio della sala, una voce ha risposto di getto: «Un incubo, un incubo mediatico!», provocando un’altra risata generale. Al termine di una visione riservata in anteprima dello stesso film, da ieri nelle sale cinematografiche, un autorevole spettatore – rivolto agli autori – ha commentato a caldo: «Vedrete che piacerà anche a lui», alludendo appunto a Berlusconi, il protagonista e interprete assoluto. E aveva perfettamente ragione. Aggiungiamo pure che il film potrà piacere a una gran parte dei suoi fan e dispiacere a una gran parte dei suoi avversari, confermando verosimilmente gli uni e gli altri nelle rispettive convinzioni di fede. Ma in ogni caso saranno proprio queste reazioni, quelle favorevoli e forse ancor più quelle contrarie, a suscitare l’interesse del pubblico e magari a decretare il successo del film al botteghino. Adesso leggiamo che lo stesso Faenza, alla presentazione ufficiale del film ai giornalisti, ha dichiarato: «Il nostro film disturberà la sinistra che si aspettava un attacco a Berlusconi. Ma non si può cancellare una parte di paese che adora il suo leader»”. Ci mancherebbe altro: chi mai vuole cancellarla? E anche volendo, come si potrebbe? Cancellare, certamente no. Ma almeno provare a farla ragionare, a farle cambiare idea, ad aprirle gli occhi, questo sarebbe senz’altro utile e meritorio. Ora non c’è dubbio che Silvio Forever s’inscrive a buon diritto in quel filone di cinema civile che si rivolge all’intelligenza e alla coscienza degli spettatori. E tanto più da parte di due giornalisti particolarmente impegnati sul fronte della denuncia come Stella e Rizzo, è certamente apprezzabile il taglio informativo, di cronaca e d’archivio, che conferisce a questo film-verità l’aura suggestiva e incalzante di un documentario politico. Né si può escludere a priori che di fronte all’esorbitante e ipertrofica “autobiografia non autorizzata” di Berlusconi, alla sua bulimia e incontinenza oratoria, alle sue contraddizioni e alle sue ripetute bugie, perfino in quella “parte di paese che adora il suo leader” s’insinui il tarlo del dubbio o si verifichi addirittura una qualche reazione di rigetto. Ma un film civile non deve anche scuotere le coscienze? Costringere la gente a pensare? E possibilmente, indurla a cambiare opinione, a modificarla o a correggerla? In questo caso, invece, nella migliore delle ipotesi c’è da ritenere che per la gran parte ognuno conservi o rafforzi la propria. Qui sta l’oggettiva ambiguità di un’opera cinematografica che rischia, anche al di là delle migliori intenzioni, di consolidare o innalzare il piedistallo di popolarità e di consenso su cui tuttora poggia lo strapotere mediatico, economico e politico di Berlusconi. Per una provvidenziale coincidenza, il film esce però nel momento in cui il Cavaliere – fra il repentino dietrofront sul nucleare, la figuraccia internazionale sulla Libia, le proteste contro i tagli alla cultura e le polemiche sull’Unità d’Italia – sembra ormai allo sbando. Quanto potrà resistere ancora un governo così scompaginato? Non saranno certamente i sondaggi a decretarne la fine. E forse neppure le inchieste giudiziarie. Ma speriamo, almeno, che l’incubo mediatico non duri for ever.
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