Senza dimora, in Italia sono fra 50 mila e 60 mila: la stima della Fiopsd

by Sergio Segio | 29 Marzo 2011 0:00

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ROMA – Il numero ufficiale ancora non c’è, ma i senza dimora in Italia sarebbero almeno tra i 50 e i 60 mila. Sono stime della Fio.psd, la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora: “Il 16 e 17 settembre prossimi – dice il presidente Paolo Pezzana – saranno presentati i dati di una ricerca ufficiale in tal senso condotta da Istat e Caritas, a cui si sta ancora lavorando”. I servizi dedicati agli homeless – sottolinea il presidente Fio.psd a margine del convegno di chiusura del progetto “C’è in gioco la povertà ” – sono per lo più concentrati sui bisogni primari, ma ancora molto resta da fare per quanto riguarda i percorsi di seconda accoglienza, “perché con i senza dimora ci vuole tempo”. Pezzana osserva che “solo l’1,2% sul totale dei servizi sono destinati all’inserimento lavorativo”, mentre dei 75 servizi che si occupano di lavoro per senza dimora, “più del 50% si trova al nord”. “Un dato eclatante – sottolinea – è che si è parlato molto di inserimento lavorativo, ma è ancora una realtà  residuale: è necessario andare oltre la prima accoglienza, che certo è importante, ma poi servono percorsi evolutivi, con cui superare la fase assistenziale”.

Riguardo invece la proposta di estendere la social card anche ai senza dimora, Pezzana parla di una concreta possibilità  per “volgere uno strumento finora inefficace in un sostegno diretto” a favore anche di persone in condizioni di povertà  estrema. Nei prossimi giorni dovrebbe esserci un’audizione al ministero del Welfare. “Il ministro Sacconi è sembrato recettivo riguardo la proposta di arrivare a forme di reddito minimo garantito per chi è in condizioni di povertà  estrema”, afferma Pezzana. Sulle modalità  di attribuzione “non ci sono ancora criteri ufficiali, ma la nostra proposta è che si faccia affidamento sulle reti territoriali”, con una collaborazione tra tutti gli attori coinvolti: le associazioni e i servizi di assistenza, ma anche gli enti locali come i comuni. “Un sistema integrato dei servizi”, insomma, che riesca a certificare, se necessario anche sulla fiducia, la condizione di povertà  estrema e garantire così l’accesso al beneficio economico. (Gina Pavone)

 

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