by Editore | 29 Marzo 2011 5:57
Esse avvengono regolarmente prima di vertici di ben minore importanza. Ma che il telefono dell’Italia non squilli, questo non rientra in una visione pragmatica della campagna di Libia. Non si tratta di velleitarismi, ma di valutare fatti concreti: l’Italia ha aperto le sue basi alla coalizione e comanda l’embargo navale Nato; l’intelligence italiana dà un contributo rilevante alle azioni dei nostri alleati; l’Italia è investita dalla prima conseguenza del conflitto libico, l’arrivo sulle nostre coste di un notevole numero di migranti. Davvero, in queste condizioni, può essere considerata comprensibile o accettabile la sua esclusione da un contatto importante e altamente simbolico per il messaggio che contiene (e che è rivolto anche ai libici)? Davvero la signora Merkel, astenuta all’Onu, non partecipante alle operazioni, lontana dalla scena, va presa a bordo e noi no? È inevitabile pensare che abbia prevalso un doppio desiderio: quello di rafforzare l’intesa franco-britannica già rinsaldata ieri con una dichiarazione a due, e l’altro di rilanciare il rapporto franco-tedesco che serve, malgrado le sconfitte elettorali, tanto a Sarkò quanto alla Merkel. Mentre Obama, tutto impegnato a fare retromarcia, da queste dispettose alchimie europee deve essersi tenuto alla larga. E se poi il tutto servirà a favorire una redistribuzione degli accordi petroliferi, nessuno dei convitati si metterà a piangere. Ma qui, dopo la sacrosanta indignazione, viene il momento di riflettere su noi stessi. Sapevamo da prima che il peso dell’Italia odierna sulla scena internazionale non è dei più rilevanti e del resto non è mai stato, anche in passato, tale da metterci tra i Grandi. A guardar bene, però, la crisi libica ha aggiunto qualcosa. I maggiori Paesi occidentali (Germania inclusa?) concordano nell’auspicare e nel ricercare a suon di bombe la caduta di Gheddafi. Berlusconi invece prima si dice addolorato per il Raìs e annuncia che i nostri aerei non spareranno, poi rinuncia all’iniziale idea della mediazione e per bocca del ministro Frattini cerca un dialogo negoziale simile a quello che cercano gli altri, perché non considera possibile la permanenza di Gheddafi al potere. Una situazione di stallo militare sul terreno può ancora dare ragione ai primi istinti del governo. Ma, avendoli poi modificati, oggi diamo l’impressione di stare in altalena, cosa che in guerra non ispira fiducia. La speranza è che la conferenza di Londra serva da chiarimento anche della posizione italiana. Anche se Frattini avrà motivi più che sufficienti per far presente che l’emarginazione dell’Italia dal pre-vertice, benché agevolata da errori che si potevano evitare, rimane un autentico schiaffo.
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