Sarko annaspa, Obama (stra)parla, Italia irritata Martedì D-day a Londra

by Editore | 27 Marzo 2011 7:26

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 Per Obama, la missione resta «chiara, mirata e sta avendo successo», al punto che gli americani possono «esseri fieri», perché «è stata evitata una catastrofe umanitaria» e l’azione è stata determinata dall’ «interesse nazionale», che esiste quando si difendono dei civili vittime di poteri brutali. Ma per gli Usa, ben più importante della Libia è la situazione in Barhein, paese collegato da un ponte all’Arabia saudita (e di fronte all’Iran). La Francia, assieme alla Gran Bretagna, sta preparando un’uscita politica alla crisi. Il momento chiave sarà  martedì, al vertice di Londra, dove dovrebbero partecipare tutti i membri della coalizione attuale e «qualcun altro», se possibile, dicono al Quai d’Orsay. Ieri, l’Unione africana, finora molto reticente, che si era riunita la vigilia ad Addis Abeba (dove anche il regime libico era rappresentato), ha auspicato di poter incontrare «al più presto» dei rappresentanti della ribellione, per discutere «la map road» dell’uscita dalla crisi. Parigi vuole che a Londra sia rappresentato il Consiglio nazionale di transizione (Cnt), che la Francia è stato l’unico paese a riconoscere di fatto come elemento unificante della rivolta. Adesso Sarkozy chiede al Cnt di «allargarsi» a dei capi tribù, per essere maggiormente rappresentativo. Si fa strada il progetto di coinvolgere maggiormente la Lega araba, che resta molto defilata: a Londra potrebbe essere discussa l’idea di nominare una personalità  araba, con la missione di facilitare il dialogo tra i libici per gettare le basi del dopo-Gheddafi. L’Italia, irritata per essere stata ignorata, promette «un piano diplomatico alternativo» da presentare martedi’ a Londra. La Russia, che si era astenuta al Consiglio di sicurezza, è intervenuta ieri per mettere in guardia Nato e coalizione, perché l’operazione avvenga nello «stretto rispetto della risoluzione 1973» e che «non oltrepassi i limiti autorizzati». Secondo l’ambasciatore russo alla Nato, Dmitri Rogozine, «un’operazione a terra sarebbe considerata un’occupazione della Libia». Per il consigliere diplomatico del Cremlino, Serguei Prikhodko, «se l’operazione aerea di eternizza, l’intervento terrestre diventa inevitable». Sul terreno, i bombardamenti della coalizione di venerdì hanno permesso agli insorti di riconquistare Ajdabiya e, secondo loro dichiarazioni, anche Brega. La coalizione si è rafforzata politicamente con la prima uscita degli aerei del Qatar che hanno partecipato ai raid nella notte di venerdì sotto comando francese. Il ministro della difesa francese, Gérard Longuet, ha affermato che l’operazione «sarà  lunga» e che l’occidente deve «avere pazienza». Secondo il Washington Post, sarebbe allo studio l’ipotesi di consegnare armi in modo massiccio agli insorti. Ma su questo fronte domina la prudenza. Anche a Parigi sottolineano che la ribellione non è ben conosciuta, che è disorganizzata ed eteroclita. Esiste il timore che l’arrivo di una quantità  massiccia di armi possa poi venire utilizzata per altri scopi (come è successo in Afghanistan) e da personaggi poco raccomandabili. C’è persino chi evoca la paura di uno scenario alla somala, con derive terroristiche e atti di pirateria in pieno Mediterraneo. Uno dei leader della rivolta, Mahmoud Jibril, in una lettera a Sarkozy pubblicata da Le Figaro «ringrazia» per l’appoggio aereo, ma afferma che i libici non vogliono «forze straniere» sul territorio. Non esiste per il momento un piano politico preciso per preparare il dopo-Gheddafi. Nella lettura fatta da Parigi della risoluzione 1973, «proteggere le popolazioni con tutti i mezzi» significa, implicitamente, che Gheddafi deve andarsene. Per questo, come ha confermato la segretaria di stato Hillary Clinton, la coalizione è attenta ai segnali di eventuali defezioni dell’entourage di Gheddafi.

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