Regole per un dialogo tra le culture

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Il moderno Stato-nazione mirava all’unità  e all’omogeneità  nazionale. Le versioni totalitarie dello Stato insistevano sulla totale uniformità . Fu contro questi modelli che, nella seconda parte del XX secolo, emerse una nuova idea politica: quella del «multiculturalismo» , che poneva l’accento sul fatto che la maggior parte degli Stati sono composti da una pluralità  di sub-nazionalità  e culture. Quest’idea, rispetto alle precedenti, segnava un progresso in termini di libertà  democratica e di uguaglianza. Recentemente è stata però attaccata da chi sostiene che da un lato mina l’identità  nazionale e dall’altro produce un miscuglio di identità  scollegate tra loro e a volte inconciliabili. Sembra di nuovo emergere l’aspirazione a una identità  nazionale uniforme, che è però in contrasto con l’uguaglianza dei diritti umani di tutti i cittadini. Sul piano della democrazia bisogna dire che il multiculturalismo non era una cattiva idea, ma anche che non è stato ben attuato, perché si è trascurata l’esigenza di stabilire regole adeguate e soprattutto la necessità  di far leva sull’istruzione. Non ci si può aspettare che persone di culture e talvolta di lingue e religioni diverse possano convivere pacificamente in assenza di regole e di strumenti educativi. Si è dato per scontato che persone con differenti background si amino e si rispettino in modo naturale, ma è un presupposto errato. Le persone di diversa provenienza devono imparare a conoscersi e devono essere disposte a farlo. Questo tipo di apprendimento è particolarmente importante nel caso delle comunità  di immigrati. Giungendo in uno Stato già  esistente, queste comunità  vorranno sicuramente conoscere la lingua, le tradizioni culturali e i costumi della società  che le ospita. Anche la società  ospitante deve però mostrarsi una buona padrona di casa e imparare a conoscere la cultura e i costumi della comunità  immigrata. È uno scambio con il quale si possono accrescere fiducia e rispetto reciproci. Il cosmopolitismo trasferisce le questioni del multiculturalismo in un più ampio contesto globale. In quanto fenomeno relativamente nuovo, il cosmopolitismo deve ancora trovare forme e regole proprie, e può essere esaminato con diversi approcci. Ne voglio qui elencare sette, dei quali solo l’ultimo, il «cosmopolitismo dialogico» , dà  spazio adeguato all’apprendimento, agli strumenti educativi necessari ad attuarlo. I sette tipi di cosmopolitismo sono: 1) Stato mondiale, 2) universalismo assoluto, 3) universalità  morale kantiana, 4) modello del discorso razionale, 5) modello liberal-individualista, 6) cosmopolitismo agonistico, 7) cosmopolitismo dialogico (o ermeneutico). Vorrei spiegare in breve le caratteristiche e i punti di forza e di debolezza di ognuno. 1) Stato mondiale: i sostenitori di questa idea vorrebbero che il cosmopolitismo si concretizzasse in una struttura politica globale, unitaria o federale. Il vantaggio è che con uno Stato globale forte il pericolo di conflitti nazionali o etnici può ridursi. Lo svantaggio è che lo Stato globale può rivelarsi dispotico. Quale sarebbe poi il meccanismo per instaurare un tale Stato? Quali sarebbero la lingua e il sistema giuridico dominanti? 2) Universalismo assoluto: in questo caso si sostiene che, anche in assenza di un governo globale, il mondo è già  uno in virtù della comune natura umana, in particolare della comune natura razionale degli esseri umani. Perciò tutte le differenze culturali, religiose e linguistiche diventano irrilevanti e obsolete. Il vantaggio qui è l’idealismo radicale, che promette di trascendere le questioni politiche più prosaiche. Il rovescio della medaglia è l’utopismo assoluto, che trascura il contesto (la «natura umana» quale lingua parla?), e il pericolo che l’universalismo venga manipolato per scopi politici molto prosaici. 3) Universalità  morale kantiana: i suoi sostenitori affermano che l’universalità  è un «dovere» o imperativo categorico che tutti i singoli membri della terra devono perseguire. Una caratteristica importante di questo approccio è una teoria della giustizia universale. A volte la morale kantiana è rimpiazzata o integrata da dettati religiosi o biblici. Il vantaggio è il forte richiamo morale e l’appello a un principio universale che guidi la condotta umana. Il problema è la dicotomia tra «essere» e «dover essere» e l’assenza di un percorso praticabile che porti dall’uno all’altro. 4) Modello del discorso razionale: i sostenitori di questa tesi modificano il modello kantiano, sottolineando la necessità  di formulare dei principi guida attraverso un «discorso razionale» a cui tutte le persone possono partecipare. Una delle principali caratteristiche di questo modello è la sperimentazione e il riscatto delle «pretese di validità » razionali. A volte l’universalità  delle pretese razionali è temperata dall’ammissione del ruolo dei contesti culturali e linguistici. I vantaggi di questo modello sono un carattere più democratico (rispetto al modello 3) e la sua opposizione al mero utilitarismo. Il lato negativo è di nuovo la distanza tra «essere» e «dover essere» e anche il carattere fortemente razionalistico del «discorso» (che sembra escludere voci meno «razionali» ). 5) Modello liberal-individualista: qui si afferma che il mondo è composto da individui che cercano ovunque di massimizzare i loro interessi individuali. Nella sua forma radicale il modello coincide con il processo di globalizzazione economica incentrato sull’iniziativa privata. A volte, l’individualismo radicale prende una strada «postmoderna» , esaltando il carattere ibrido, proteiforme e nomade di un’individualità  illimitata. In una forma più sobria, l’individualismo liberale rimane legato al moderno Stato-nazione liberale. Il vantaggio di questo approccio è quello di essere facilmente comprensibile per gli individui occidentali. Lo svantaggio è che somiglia fin troppo a un elitarismo internazionale neoliberale. 6) Cosmopolitismo agonistico: sostiene che il cosmopolitismo deve essere visto come «cosmo politica» e che la politica è una lotta per il potere. Questa lotta può assumere diverse forme. I marxisti internazionalisti sostengono che la scena mondiale sia quella della «lotta di classe» . I nazionalisti di destra ritengono che la lotta globale avvenga per la supremazia nazionale su scala globale. A volte le posizioni agonistiche assumono una veste «postmoderna» , sostenendo che la politica è la lotta tra despoti e dissidenti. Il vantaggio di questo modello è la sua attenzione ai reali conflitti del mondo. Sul piano negativo si nota una impostazione manichea e si ha l’impressione che le contrapposizioni e gli scontri siano un fine in sé. 7) Cosmopolitismo dialogico: i fautori di questo modello accettano che la politica sia spesso una lotta di potere, ma insistono sul fatto che gli altri (individui, società  o culture) non devono essere visti come nemici o antagonisti, ma come «altri» , meritevoli di attenzione e rispetto, un rispetto che si manifesta di preferenza con una mutua apertura al dialogo. Nell’impegnarsi in questo dialogo non si deve perseguire un interesse personale o rivendicare maggior potere, ma coltivare virtù civiche ed etiche che possono portare a una mediazione o a una composizione pacifica delle controversie. Il vantaggio di questo modello è che riconcilia «essere» e «dover essere» , realtà  e utopia (offrendo un’utopia realistica). Il problema è che richiede istruzione e una trasformazione paziente ed è quindi un progetto di lungo termine. Nel mio lavoro ho sempre espresso la preferenza per il cosmopolitismo dialogico, il numero 7. Sono pronto a difendere questo modello, ma altri potrebbero voler sostenere altre opzioni. Il mio obiettivo è arrivare a formulare un «significato» di cosmopolitismo che sia accettabile per tutti. (Traduzione di Maria Sepa)


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