Reagire subito, a partire dal voto di maggio

by Editore | 26 Marzo 2011 8:04

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L’occasione per un esercizio collettivo in questa direzione c’è: le elezioni amministrative di maggio Per cogliere l’occasione è necessario dotarsi, però, di un atteggiamento nuovo, fatto di responsabilità , vigilanza e pretesa. L’interesse della criminalità  organizzata a infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni ha profonde radici: logiche, pratiche, storiche. Lo stato nello Stato (la mafia, le mafie) cerca infatti anche per questa via di confondersi nello Stato: di addizionare alla forza della sopraffazione, della violenza, dell’intimidazione, della corruzione l’autorità  delle istituzioni, fuorviandole al perseguimento degli interessi di pochi in contrasto con quelli della collettività . Il significato stesso di pubblica istituzione, così, viene tradito, smentito, annullato, depravato. Laddove le mafie si insinuano nelle amministrazioni locali, appalti, licenze, autorizzazioni, progetti di sviluppo, guida di enti pubblici, espropri, e quant’altro non sono decisi sulla base della loro utilità  per la collettività , ma specificatamente per arricchire o danneggiare qualcuno di determinato o per limitare l’azione di chi persegue l’interesse pubblico. Così intere tratte autostradali vengono a costare più di trenta volte quello che costano in altri paesi simili al nostro. Così aziende che si sono affermate sul mercato per la qualità  del prodotto o servizio offerto vengono estromesse a favore di imprese che offrono un risultato qualitativo mediocre. Così le risorse economiche attribuite agli enti locali dallo Stato o dalla Comunità  europea vengono drenati dalla criminalità  e non utilizzati per le esigenze della cittadinanza di oggi e di domani. Nella dimensione politico-amministrativa, in sintesi, risiede un potere, anche economico, al quale la criminalità  organizzata naturalmente è tesa, ed infatti casi di infiltrazioni mafiose nella politica locale sono e sono stati nella nostra storia recente, numerosissimi e non solo in quei territori del Paese nei quali la mentalità  e le dinamiche mafiose sono presenti storicamente. È sempre attuale, insomma, quanto affermato in Parlamento nel 1976 degli onorevoli Terranova e La Torre: esiste un fenomeno di compenetrazione tra il mondo politico e quello mafioso, ed è un rapporto ricercato da entrambe le parti. L’ingresso dei soggetti legati alla criminalità  mafiosa nel mondo della politica avviene attraverso il voto: nulla di più. Qualcuno che si candida per un partito e qualcuno d’altro che lo vota. Dobbiamo guardare quindi proprio alla responsabilità  di partiti ed elettori. I primi poiché sono loro a decidere chi si candida: e debbono assumersene la responsabilità ! Cosa che evidentemente faticano a fare se è vero che nel 2008 una legge dello Stato ha ritenuto necessario affidare alla Commissione parlamentare antimafia il compito di «indagare sul rapporto tra mafia e politica riguardo alla sua articolazione nel territorio, negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e delle candidature per le assemblee elettive» . In forza di tale incarico, la Commissione ha nuovamente messo mano ad un progetto già  presentato dalla stessa nel 1991 e nel 2007 volto alla creazione di un sistema di regole interno ai singoli partiti e finalizzato a impedire che essi accettino di candidare persone legate alla criminalità  mafiosa. Nel 2010, quindi, nell’imminenza di importanti elezioni amministrative, la Commissione ha presentato il Codice di autoregolamentazione cui i partiti dell’arco parlamentare erano invitati ad aderire. Le verifiche svolte dopo la consultazione elettorale hanno evidenziato 45 candidature le cui caratteristiche sono tali da far affermare al presidente della Commissione, Beppe Pisanu, che «la disinvoltura nella formazione delle liste molto più allarmante di quella che noi abbiamo immaginato. Sono liste gremite di persone che non sono certo degne di rappresentare nessuno» . È qui che può assumere un ruolo importantissimo l’elettore. Egli, ad esempio, può pretendere di sapere se il partito nel quale si «identifica» maggiormente è fra quelli che adottano il Codice di autoregolamentazione, se è fra quelli che, pur avendone approvato il testo in Commissione antimafia, ha poi candidato uno dei 45. Di più, egli può informarsi sul fatto che i responsabili di quelle candidature siano o meno stati allontanati dal partito. Può compulsare i siti Internet dei sempre più numerosi partiti (e liste civiche e movimenti e quant’altro) per comprendere se essi si siano dotati di ulteriori strumenti di verifica della affidabilità  dei propri candidati rispetto al rischio «infiltrazione mafiosa» o se, al contrario, tace sull’argomento o ripiega in meri proclami, sostanzialmente preferendo candidare chi «porta voti» piuttosto che persone affidabili. Può e deve, l’elettore, rifiutarsi di votare il candidato che vorrebbe se il suo partito è disposto a non scacciare le lunghe mani della mafia da sé. All’importanza del voto deve corrispondere l’impegno dell’elettore, a ché essa non sia vanificata dalla pigrizia, dal disinteresse, dalla rassegnazione o dal cinismo.

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