“Ma agli editori e allo Stato non interessa che si legga di più”

by Editore | 24 Marzo 2011 7:00

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Il viceministro Francesco Maria Giro si lancia in un’appassionata orazione in difesa della cultura e dei libri, elencando la penuria dei fondi italiani al cospetto delle sorelle europee con la meticolosità  di un opinionista distaccato, quasi che parrebbe scortese ricordargli che è sottosegretario del ministero dei Beni Culturali, membro di un governo che ha tagliato i fondi. Nella platea affollata da figure di primo piano dell’editoria, il suo accalorato invito ad applaudire il ministro Bondi, appena sostituito da Galan, produce l’isolato battimano di un funzionario zelante, che gela ancor più la sala. Durante l’intervento del sottosegretario, Gianarturo Ferrari nasconde la faccia dietro le mani. Da oltre un anno presiede il Centro per il libro, un istituto del ministero creato per allargare la lettura. Alla fine non resiste. «La base dei lettori italiani è vergognosamente ristretta, ma a nessuno sembra importare granché», dice riemergendo dal faticoso esercizio di autocontrollo. «Non se ne fa carico la mano pubblica ma neppure quella privata. Se al complesso della nostra comunità  nazionale va bene che legga solo un terzo della popolazione, io poco ci posso fare… ». Ferrari, dopo un anno, è questo il bilancio malinconico? «Perché, cosa ho detto? Forse sono stato un po’ brusco, spinto dalla passione. Il problema centrale è l’esiguità  della base dei lettori. Anche questo nuovo rapporto sull’acquisto e la lettura, che abbiamo realizzato grazie alla Nielsen, documenta che legge solo un terzo degli italiani adulti. Ma non mi sembra che ce ne preoccupiamo più di tanto. Non se ne fa carico lo Stato, che avverte più l’urgenza della tutela del patrimonio artistico. E non se ne fanno carico gli editori, che guidano un’industria prospera e dunque non avvertono grandi differenze rispetto ai loro omologhi europei. Da qui il loro scarso impegno». Per la verità  oggi mancano i fondi anche per la tutela. «Questo è indubbio, ma quel che ho potuto vedere dal mio osservatorio è che manca una tradizione statale di sensibilità  al mondo del libro. Nei suoi 150 anni di storia, lo Stato italiano non s’è mai occupato di allargare la lettura, con una politica di intervento e modifica delle abitudini degli italiani. L’ha fatto soltanto sotto un regime totalitario, dunque non possiamo indicarlo come esempio. Occorrono risorse che non ci sono». Anche al Centro del Libro sono stati tagliati i finanziamenti. «Non posso negarlo, ma non è solo una questione di fondi. Quando siamo partiti, volevo mettere in piedi Fahrenheit 451, un’associazione finanziata da 451 soci con una quota ciascuno di diecimila euro. Ma non riesco a farla diventare una onlus, che permetterebbe di dedurre almeno in parte dal fisco il finanziamento. Questo cosa vuol dire? Che se devo restaurare una biblioteca o conservare un bene, ho la possibilità  di creare una onlus; se devo allargare la lettura, non dispongo della stessa opportunità . Il problema dei fondi c’è, ma quel che manca nel nostro paese è il riconoscimento del valore sociale della lettura». Come lo spiega? «La cultura è sempre stata patrimonio di un’élite, dunque dal popolo assimilata a qualcosa di esclusivo e vessatorio. Non è mai diventata veramente democratica. È la memoria del servaggio passato che ha poi spinto moltitudini verso l’incultura ostentata ed esibita e verso la devastazione del paesaggio. La massa s’è sentita disprezzata dal ceto colto». Oggi è la cultura a essere disprezzata dai governanti. «Non ci vorrebbe poi molto per far leggere gli italiani. Basterebbero dieci milioni di euro all’anno per quindici anni». Per spenderli come? «Partiamo da una premessa: i lettori sono coloro che sono venuti a contatto continuativamente con i libri. Da qui il proposito di mettere a contatto con i libri tutti gli italiani, indipendentemente dalla classe di appartenenza, che nelle abitudini di lettura continua a incidere troppo. Basterebbe seguire il futuro lettore dalla nascita, e accompagnarlo per un pezzo della sua carriera scolastica: un primo pacchetto di libri distribuito gratuitamente in culla, poi all’ingresso della scuola elementare, e ancora una bibliotechina in dotazione alla fine della scuola primaria. Facendo così, potremmo allargare la lettura dal 33 al 50 per cento». Lei di quanti fondi dispone? «Non più di 2 o 3 milioni di euro l’anno. E – ripeto – è difficile convincere imprenditori privati a investimenti a lungo termine». Anche questa nuova ricerca attesta che l’e-book da noi non ha sfondato. Siamo più lenti nel cambiare abitudini di lettura? «Noi siamo lettori di formazione umanistica: leggiamo di tutto, dal giallo al libro storico, dal classico al saggio sulla musica. In America la lettura è più circoscritta: ciascuno coltiva un interesse particolare e sceglie i libri sulla base della propria passione. L’e-book è uno strumento che funziona meglio nella lettura segmentata». Quanto ci vorrà  per soppiantare il cartaceo? «Più o meno una ventina d’anni. Tra le ragioni che decreteranno il successo dell’e-book c’è anche che costa meno del libro di carta. Non dimentichiamoci che il calo del prezzo fece la fortuna della stampa e di Gutenberg. Prima era come comprare una Ferrari». Oggi però i libri di carta non costano come i codici miniati. «Ne compriamo sempre troppo pochi. Con i nostri indici di lettura, è impensabile che il paese possa svilupparsi, però il sentimento generalmente condiviso è che vada bene così. Nessuno se ne fa carico».

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