“L’Italia è in prima linea. Anzi no Era meglio stare fuori dall’alleanza”

by Editore | 26 Marzo 2011 7:42

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ROMA – Avrà  sicuramente ragione Fabrizio Cicchitto, intervenuto alla Camera giovedì per dichiarare il voto del Pdl sulla Libia, a dire che «il governo non è confuso. Ad essere confuso è il mondo». Ma ora che il comando dell’operazione Odissey Dawn finalmente sta passando alla Nato, basta scorrere l’archivio dell’ultimo mese per apprezzare le spericolate capriole del governo nella politica libica. Tutti ricordano l’incipit della storia, quando un manipolo di cronisti intercettò il 19 febbraio Berlusconi, a via del Plebiscito, per chiedergli lumi sulla situazione a Tripoli (dove da giorni era in corso una feroce repressione). E il Cavaliere se ne uscì con una di quelle frasi destinate a non essere obliate: «No, non ho sentito Gheddafi. Non mi permetto di disturbare nessuno». Un’enormità  che persino Bossi definì «una pessima uscita» e La Russa chiarì: «Io non avrei usato la parola disturbare». Ma in fondo il premier non si è mai discostato dalla linea gheddafiana. Così ancora un mese dopo, il 21 marzo, quando un missile aveva mancato di poco la testa della Guida suprema, il premier confessava la sua amarezza: «Sono addolorato per Gheddafi e mi dispiace». Stupefacente, ma non incoerente. Diverso invece il caso del ministro degli Esteri, passato in poco tempo da una posizione di difesa dello status quo sulla “quarta sponda” a uno strenuo interventismo umanitario. Una giravolta stigmatizzata due giorni fa a Montecitorio dal radicale Matteo Mecacci, che ha citato in aula un’intervista di Frattini del 17 gennaio, tre giorni dopo la cacciata di Ben Ali. Sosteneva Frattini: «Faccio l’esempio di Gheddafi. Ha realizzato la riforma dei congressi provinciali del popolo: distretto per distretto si riuniscono assemblee di tribù e potentati locali, discutono e avanzano richieste al governo e al leader. Cercando una via tra un sistema parlamentare, che non è quello che abbiamo in testa noi, e uno in cui lo sfogatoio della base popolare non esisteva, come in Tunisia. Ogni settimana Gheddafi va lì e ascolta. Per me sono segnali positivi». Dall’elogio del riformatore alla critica sprezzante quando Gheddafi dà  dei «traditori» ai governanti italiani: «Non dobbiamo farci intimidire dalle sue minacce. Le basi militari italiane saranno la chiave per realizzare questo intervento di protezione umanitaria». Basi ma anche aerei, s’affretta a dire Ignazio la Russa domenica scorsa ospite di Lucia Annunziata. Tornado ed F-16, pronti a fare quello che devono fare gli aerei da guerra: tirare missili. «La nostra partecipazione è attiva. Abbiamo messo a disposizione quattro Tornado con capacità  di distruggere radar e postazioni missilistiche. Sono pronti ad alzarsi in volto in 15 minuti». Insomma, eccoci, arriviamo anche noi. Tanto da guadagnarsi l’appellativo di «ministro della guerra» da Roberto Calderoli. Un momento, tirò il freno Berlusconi. Chiarendo il 22 marzo che «i nostri aerei non hanno sparato e non spareranno». Un caos tale che a farne le spese fu il povero Maggiore Nicola Scolari, uno dei top gun italiani, navigatore del Tornado che aveva compiuto la prima missione sulla Cirenaica. Non abbiamo sparato – spiegò l’ufficiale – ma solo perché i libici non hanno acceso i radar, altrimenti è nostro dovere sganciare i missili sull’obiettivo. Il maggiore Scolari si era fermato al La Russa numero 1, senza aver ascoltato evidentemente il Berlusconi numero 2, quello pacifista. E così, dopo l’intervista, è finita anche la breve esperienza bellica del top gun, rispedito nel Nord Italia ad esercitarsi con il simulatore. Ma insomma, Gheddafi alla fine se ne deve andare oppure no? Ancora non è chiaro. Se la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti su questo sono molto espliciti, a Roma non tutti la pensano allo stesso modo. Frattini è sulla linea dura: «L’intera comunità  internazionale – spiega il 18 marzo – è assolutamente coesa sul principio che Gheddafi deve lasciare». L’intera comunità  sarà  pure «assolutamente coesa», ma all’appello manca proprio il Cavaliere. Il quale, a cena con i Responsabili, l’altro ieri ha sfogliato con nostalgia l’album delle fotografie che lo ritraggono con il Colonnello. E a porte chiuse ha confidato il suo scetticismo: «Gheddafi non mollerà  mai. Col senno di poi penso che avremmo potuto rimanere fuori dalla coalizione». Ben venga il caos, diceva Karl Kraus, perché l’ordine non ha funzionato. Di certo non a palazzo Chigi.

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