Putin: “è come una crociata” Gli Usa pronti a cedere la guida
NEW YORK – Si può entrare in guerra bombardando il nemico con centinaia di missili e un carico di distinguo? Barack Obama, il guerriero riluttante a cui il presidente boliviano Evo Morales chiede ora di revocare il Nobel per la pace, dice che «Muammar Gheddafi se ne deve andare»: ma chiarisce che questa è «la politica» degli Stati Uniti. L’azione militare prevista dall’Onu, invece, è un «intervento umanitario» a difesa dei civili. E gli Usa «a quel mandato si attengono». Pronti «a passare il comando nel giro di giorni e non di settimane» ai «capacissimi alleati»: nei tempi e nei modi che vedranno comunque «il coinvolgimento attivo della Nato». Così parlò il presidente degli Stati Uniti durante la sua prima conferenza stampa in Cile («Non è singolare trovarsi qui mentre il paese è in guerra?». «Ho visionato i piani prima di partire»). Proprio mentre i missili della coalizione tornano a piovere su Tripoli. E a New York il consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisce a porte chiuse. I libici hanno chiesto una riunione d’urgenza per fermare «l’aggressione militare». Il consiglio si riunirà comunque giovedì, come previsto dalla risoluzione approvata la settimana scorsa: ci sarà anche Ban Ki-Moon. Ma la richiesta libica è l’ennesimo bluff, anche se il Colonnello spera ancora in un colpo dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina) che sulla no fly zone si sono astenuti: a cominciare dai russi che ora rovesciano sul palcoscenico internazionale le loro tensioni interne. Il premier Vladimir Putin sembra dargli corda accusando l’Occidente di «crociata». Ma il presidente Dimitri Medvedev lo sconfessa: «Non è possibile usare espressioni che rimandano allo scontro di civiltà ». I due sono in corsa per le presidenziali del 2012: è il primo vero scontro intestino tra i due compari o l’ennesimo gioco delle parti? Il duello avviene fra l’altro sotto gli occhi di un ospite illustre, il segretario alla Difesa Usa Bill Gates. Che non solo si congratula con i russi per non aver posto il veto. Ma assicura anche lui, già scettico sull’intervento, che gli Stati Uniti «diminuiranno presto il loro impegno». Il Cremlino coglie il segnale. L’astensione è il prezzo per vedersi spalancare le porte dell’Organizzazione del commercio mondiale – che gli americani faranno ingoiare ai loro vassalli georgiani. E certamente vale anche i due miliardi di dollari di commesse militari con la Libia – un quarto del loro mercato – a cui hanno rinunciato attuando le sanzioni: confidando di spartirsi pure loro, dopo la cacciata del Colonnello, i ricchi contratti di gas e petrolio. Ma è questo il punto: si può cacciare Gheddafi con tutti i distinguo che gli americani, per primi, apparecchiano? Negli Usa c’è chi minaccia Obama di impeachment per essere entrato in guerra senza passare dal voto del Congresso. I repubblicani sparano cifre da paura: sei mesi di missione costerebbero oltre 9 milioni di dollari agli Usa già in ginocchio per il deficit. Ma un comitato indipendente stima invece i costi in non più di 100 milioni di dollari alla settimana. E Obama – oltre a ripetere di avere perfino l’approvazione dei paesi arabi, confermata ieri dalla Lega, dopo che alcune dichiarazioni, assicura il segretario Amr Moussa, erano state travisate – sostiene addirittura che la no-fly zone attuata dalle forze della coalizione è un esempio «di quello che dovremmo sempre cercare di fare»: perché non ricade interamente sulle spalle dei militari e dei contribuenti Usa. Ma quando finirà ? Al Dipartimento di Stato vanno perfino oltre la previsione di un possibile «stallo», con Gheddafi al potere, fatta dal capo di Stato Maggiore Mike Mullen: sussurrando che pure il rischio di una divisione del paese è stato preso in considerazione. Troppi distinguo, troppi al comando, troppi se.
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