Portogallo senza governo e al bivio austerità  “interna” o salvataggio Ue

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ROMA – Senza governo, con un deficit pubblico in crescita e l’economia ancora in crisi, il Portogallo si avvia sulla strada già  percorsa da Grecia e Irlanda nella richiesta di un aiuto finanziario dall’Ue per salvarsi. Il governo di minoranza socialista si è dimesso dopo che il parlamento ha bocciato il piano di “lacrime e sangue”, concordato con Bruxelles, per risanare i conti e tagliare la spesa pubblica. A questo punto diventa dunque molto probabile l’intervento finanziario dell’Ue, anche se il governo dimissionario “continuerà  a lottare con tutte le sue forze” per evitare un ricorso a un piano di salvataggio Ue-Fmi “che avrebbe conseguenze molto gravi per l’economia” del paese e “imporrebbe un programma di risanamento che i portoghesi certamente non vogliono”.

La delusione dei Paesi forti si legge tutta nelle parole di Angela Merkel. La cancelliera tedesca si è detta da un lato “molto dispiaciuta” per la bocciatura parlamentare a un piano di riforme che ha definito “coraggioso”; dall’altro, ha sottolineato che chiunque andrà  al governo in Portogallo dovrà  sentirsi “obbligato” ad aderire ai parametri del programma bocciato ieri. Sulla stessa linea il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso: “Le difficoltà  politiche del Portogallo vanno superate il più velocemente possibile e gli impegni sul fronte delle riforme e del consolidamento delle finanze pubbliche devono essere confermati”.

Gli effetti delle dimissioni di Socrates sono stati immediati con i titoli di stato in caduta libera. Il rendimento dei bond decennali è salito al 7,70%, il massimo storico dall’introduzione dell’euro, il rendimento dei titoli a cinque anni viaggia ancora più in alto a quota 8,25%; in generale, come aveva avvisato il premier dimissionario Jose Socrates, un costo del denaro “insostenibile” per finanziare il crescente debito pubblico (circa 83% del pil) e con scadenze dietro l’angolo. Ad aprile, Lisbona dovrà  rinnovare bond quinquennali per 4,3 miliardi di euro, a giugno altri 4,9 miliardi per i decennali. In questa situazione, la soluzione più probabile resta quella della richiesta di aiuto finanziario alla Ue (secondo il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, la cifra di 75 miliardi di euro sarebbe “appropriata”).

La strada è quasi obbligata, ma complicata dalla situazione politica: la Ue concederà  il prestito solo a condizione che vi sia un governo in grado di portare avanti piani di rientro del deficit pubblico con inevitabili misure di austerità . Al momento, un governo simile non c’è, mentre anche il possibile successore di Socrates, l’attuale capo dell’opposizione, il socialdemocratico Pedro Passos Coelho, spera fortemente di evitare il salvataggio “esterno”. Il suo obiettivo, confidando nelle prossime elezioni, dar vita a un esecutivo forte in grado di risanare i conti con un programma interno di consolidamento ancora “più severo” dell’attuale.

La situazione portoghese è tornata ad alimentare i timori sul debito dei paesi “periferici”, ma soprattutto rischia di coinvolgere duramente la Spagna che pure da qualche settimana registra da parte dei mercati finanziari una netta ripresa della fiducia. Il problema è che un terzo circa del debito del Portogallo è nei portafogli di banche spagnole.


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