Palermo, i pm sulle tracce di Romano “Chiederemo di usare le intercettazioni”

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PALERMO – È a un bivio la seconda inchiesta che vede indagato il neo ministro Saverio Romano, per «concorso in corruzione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa». L’atto d’accusa della Direzione distrettuale antimafia di Palermo si fonda su alcune intercettazioni, che nel 2004 captarono quasi per caso la voce dell’allora deputato dell’Udc Romano, mentre parlava al telefono e fissava appuntamenti (fra Palermo e Roma) con il principale prestanome della famiglia Ciancimino, l’avvocato tributarista Gianni Lapis. Adesso che è Romano ad essere indagato, i pm dovranno ottenere l’autorizzazione della Camera dei deputati per utilizzare quelle intercettazioni. La richiesta partirà  nei prossimi giorni e sarà  inviata al giudice delle indagini preliminari, che dopo averla vagliata la inoltrerà  a Roma. Se la Camera non dovesse dare il via libera, l’inchiesta potrebbe essere a rischio. Ma c’è anche dell’altro nell’atto d’accusa del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Nino Di Matteo, Paolo Guido e Sergio Demontis. Romano lo sa, perché il 17 giugno 2009 venne convocato come indagato per un interrogatorio e gli fu spiegato che contro di lui c’erano alcune «intercettazioni di conversazioni fra soggetti diversi», ma anche le dichiarazioni di Massimo Ciancimino e di Gianni Lapis. All’epoca, Romano si avvalse della facoltà  di non rispondere e giustificò il suo silenzio con un mezzo rimprovero ai pm: «Non mi viene contestata in forma chiara e precisa alcuna condotta di reato». Questo era stato letto a Saverio Romano dai magistrati: ha ricevuto «in più soluzioni, ingenti quantitativi di denaro da Lapis Gianni, che li aveva prelevati, per il tramite di Ciancimino Massimo, dal conto bancario estero denominato “Mignon”, come corrispettivo per favorire le società  del “Gruppo Gas” riconducibili a Lapis e Ciancimino, nonché in precedenza riconducibili, anche nell’interesse dell’associazione mafiosa, a Ciancimino Vito». È in queste poche righe la seconda inchiesta che ancora pende sul neo ministro dell’Agricoltura. Mentre si attende l’udienza del 6 aprile, in cui un gip dovrà  valutare la richiesta di archiviazione della Procura per l’altra indagine su Romano, quella riguardante il concorso esterno in associazione mafiosa. Massimo Ciancimino ha spiegato ai pm di Palermo che dopo la vendita del gioiello di famiglia agli spagnoli della Gas natural, nel 2004, c’erano degli «obblighi» che dovevano essere onorati con alcuni politici. Oltre a Romano, il senatore Pdl Carlo Vizzini e l’ex governatore Totò Cuffaro, pure loro oggi indagati per corruzione: sul ruolo che avrebbero svolto non si sa ancora molto, anche perché il verbale di Ciancimino e le intercettazioni fra Romano e Lapis restano secretate. Top secret pure le parziali ammissioni dell’avvocato Lapis, che al processo per il tesoro di Ciancimino è stato condannato in appello a 5 anni, per intestazione fittizia di beni. Sarebbe stato lui a gestire in prima persona le mazzette ai capi-partito e ai capi-corrente, probabilmente per agevolare l’aggiudicazione di alcuni lavori di metanizzazione in lungo e in largo per la Sicilia. Oppure, per ringraziare di appalti già  assegnati. Nei dialoghi intercettati con Romano, l’avvocato parlerebbe anche di un «emendamento» da presentare alla Camera. Di certo, un milione e mezzo di euro furono prelevati dal conto «Mignon» di Ciancimino, presso il Credit Lyonnais di Ginevra. E ufficialmente, non si sa che fine abbiano fatto. A chiamare in causa Romano ci sarebbero anche altre parole di Ciancimino e Lapis, pure queste intercettate nel 2004. Da una microspia emergerebbero soprattutto le considerazioni del figlio dell’ex sindaco, che dopo aver esaminato un foglio con nomi e cifre sbotta: «Ma 300 mila euro per Romano non sono troppi?». Lapis risponde: «No, una parte sono per il presidente». Il presidente Cuffaro.


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